INTERVISTA ALLO SCRITTORE GIULIO FERRONI: “I SOVRANISTI NON AMANO L’ITALIA, AMANO GLI UMORI AGGRESSIVI CHE PROVANO ALCUNI ITALIANI”
“IL LORO RIFERIMENTO E’ L’ITALIANO CHE HA PAURA”
Anche se si stringono a coorte: “I sovranisti non amano l’Italia. Amano gli umori aggressivi che provano alcuni italiani. L’Italia ha un cuore troppo femmineo per i loro gusti da macho. Il loro punto di riferimento è l’italiano che ha paura. Quello che oggi è terrorizzato dal coronavirus e se la prende con i cinesi”.
Dopo aver passato la vita a studiare e insegnare la letteratura italiana, Giulio Ferroni — uno dei più grandi critici letterari viventi, professore emerito de La Sapienza di Roma — ha attraversato l’Italia prendendo come guida l’uomo senza il quale l’Italia non esisterebbe nemmeno, nè esisterebbe la lingua che parliamo, come non esisteremmo noi italiani: “Dante Alighieri aveva in mente un’Italia che nasceva dal modello classico e letterario. Il suo riferimento era l’Impero Romano. Il suo orizzonte era universale. L’ipotesi di un’Italia chiusa dentro i propri confini, come un organismo a sè stante, era fuori dalla sua prospettiva”.
L’Italia di Dante (Nave di Teseo) è il libro che è risultato da questo lungo viaggio, a quasi settecento anni dalla morte del poeta, che celebreremo il prossimo anno. Più di mille pagine che contengono strati di reportage, di diario, di zibaldone di pensieri, di divagazioni, di preghiere civili, di racconti, di magie, di stupori e di amarezze: “La verità è che i sovranisti non sanno nemmeno cosa sia l’Italia. Non ne parlano mai, del resto. Fanno continuamente riferimento agli italiani, concependoli come un’entità pura e indistinta, da proteggere da ogni contaminazione esterna. Non considerano che nell’infanzia degli italiani ci sono i goti, i longobardi, gli arabi, i greci, i normanni, i tedeschi di Federico II. Se la cavano con una formula: “Prima gli italiani”. Sbandierando l’immagine di un popolo improbabile”.
Perchè l’Italia dovrebbe essere contrapposta agli italiani?
Massimo D’Azeglio, dopo l’Unità , disse: “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”. Gli fece eco, ne I Vicerè di Federico De Roberto, un nobile appena entrato in politica: “L’Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli affari nostri”.
Vuol dire che gli italiani non esistono?
No, bene o male, si sono fatti. Ma è impossibile evocarli come un tutt’uno. Tutti insieme. Gli italiani sono tanti, molteplici, sfaccettati. Ci sono italiani capaci di raggiungere vette altissime, e ci sono italiani capaci di fare disastri. Ci sono italiani generosissimi e italiani feroci. Come si può ridurli a una cosa sola?
Nemmeno l’Italia è una cosa sola, però.
Infatti, io non amo la nazione italiana, io amo i luoghi di di cui è fatta l’Italia, amo il corpo di questo paese. La vita che scorre silenziosa nei borghi, le tracce del passato depositato nelle forme delle nostre città . Le chiese, le opere d’arte. Ma anche i selciati, le strade di campagna, i muretti di pietra. L’Italia è nella catena di biografie che si sono succedute e hanno dato bellezza agli edifici, ai paesaggi, agli scorci, a una piccola fontana da cui bere in un piccolo paese inerpicato sui monti. Scriveva Mario Tobino, medico e psichiatra, che la donna che amava di più al mondo era l’Italia. Non si riferiva all’Italia delle parate militari. Si riferiva al corpo dell’Italia popolare, quella con la pelle solcata da rughe lunghe secoli, dentro le quali si sente pulsare il corso del tempo.
Non è la stessa Italia che ama un nazionalista?
Forse, un nazionalita dell’Ottocento sì. In fondo, il Risorgimento non sarebbe potuto esserci se non ci fosse stata, alle sue spalle, un’idea letteraria dell’Italia — l’Italia che è nella poesia di Dante, nella pittura del rinascimento, nelle opere degli umanisti. Ma nel Novecento l’idea costruttiva e vitale del nazionalismo ha lasciato il posto a una pulsione distruttiva e mortifera. L’Europa si è autodistrutta, in preda ai deliri nazionalisti che hanno scatenato due Guerre mondiali. E oggi c’è il rischio che si torni lì, a mettere le nazioni le une contro le altre, in nome della sovranità .
Invece, cosa ci vorrebbe?
Ci vorrebbe la capacità degli italiani di non percepirsi fuori dal mondo che li circonda. Come Dante, la cui italianità non era in conflitto con uno spirito universale. Gli italiani dovrebbero riuscire a percepirsi europei, perchè senza l’orizzonte dell’Europa l’Italia si allontanerebbe da se stessa. È questa l’irresponsabilità più grande dei sovranisti. L’idea di considerare l’Italia e gli italiani come qualcosa di a se stante. Slegata dal mondo
Senza la lingua di Dante non ci sarebbe l’Italia. Servirebbe anche all’Europa una lingua comune?
No, l’idea di una lingua comune europea, oltre che una prospettiva utopica, sarebbe pericolosa. Significherebbe distruggere la sostanza culturale dei Paesi europei. Mentre la forza dell’Europa è proprio nella straordinaria potenza della molteplicità . Nella grandezza del francese, del tedesco, dello spagnolo, dell’inglese (anche se il Regno Unito è uscito dall’unione Europea). Sono lingue straordinarie, dotate di grandi letterature. E non c’è niente di meglio che conoscerle, leggendo i grandi scrittori che le hanno usate per scrivere i loro capolavori, per rendersi conto di che cos’è veramente l’Europa.
Si può creare un soggetto politico sulla bellezza?
La bellezza, se è veramente bellezza, è sempre qualcosa di inafferrabile. Promette in continuazione qualcos’altro. Impossibile da possedere. Dà un senso di fragilità , perchè adesso c’è, fra un attimo potrebbe non esserci più. La bellezza, se è veramente è bellezza, non si può mai dire fino in fondo. Lo stesso Dante, quando è di fronte a Beatrice, cioè alla cosa più bella che ci sia, getta la spugna: ammette di non essere in grado di descriverla. Perchè la bellezza, se è veramente bellezza, è oltre la parola. Come la politica, se è veramente politica, è oltre ciò che esiste qui, ora.
(da “Huffingtonpost”)
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