JAN BREMMER: “BIDEN E’ STATO ANCHE PIU’ EFFICACE DI OBAMA, QUESTA DECISIONE SALVA LA SUA EREDITA'”
IL POLITOLOGO AMERICANO: “KAMALA L’ALTERNATIVA MENO TRAUMATICA, PUO’ BATTERE TRUMP”
«Con la decisione di ritirarsi, anche se tardiva, Joe Biden mette almeno parzialmente in salvo l’eredità politica della sua presidenza che è stata di grande rilievo all’interno, mentre a livello internazionale i risultati sono stati molto meno positivi»
Mentre guida tra le vette del Montana, il politologo Ian Bremmer — sorpreso dai tempi scelti dal presidente per annunciare il suo ritiro, non dalla scelta in sé che dava per scontata da tempo — commenta la lettera di Biden arrivati agli americani via social media.
Alla loro convention i repubblicani l’hanno dipinto come uno dei peggiori presidenti della storia. Se riconquisteranno la Casa Bianca e il Congresso, cosa resterà della sua legacy? Donald Trump vuole cancellare quanto fatto da Biden.
«Trump non può cancellare la buona gestione della pandemia, l’efficacia della campagna vaccinale, l’empatia e l’efficienza del presidente in quella fase. E poi la positiva legislazione bipartisan che ha consentito di evitare la recessione e di rilanciare l’economia prima e meglio di altre parti del mondo. Nella gestione della crisi, ma anche, più in generale, con le riforme economiche, Biden è stato molto più efficace anche di Obama che era una rockstar mentre Joe non ha mai avuto carisma. Eppure è riuscito a far varare dal Congresso piani importanti per il futuro dell’America: dall’“Inflation Reduction Act” con le misure per l’ambiente e la transizione energetica al piano per le infrastrutture vitali del Paese, al “Chips Act” che dà ulteriore impulso alla ricerca nelle tecnologie più avanzate e allo sviluppo di produzioni strategiche in territorio americano. Non vedo come Trump possa disfare tutto questo, né quale convenienza ne avrebbe».
Risultati positivi che gli americani non sembrano avergli mai riconosciuto: nei sondaggi è sempre stato un presidente impopolare, anche prima che emergessero in modo evidente i problemi legati alla sua senilità.
«È vero, ma il ritiro è legato soltanto a questo peggioramento abbastanza improvviso delle sue condizioni di salute. Biden è sempre stato, anche da senatore, un personaggio internazionale, un ponte tra l’America e l’Europa, molto amato nel vostro Continente. Mi ha fatto stringere il cuore, qualche giorno fa, durante il vertice della Nato a Washington, vedere diversi leader europei emotivamente provati, addirittura smarriti nell’incontrare un vecchio amico divenuto, rispetto all’ultima volta che l’avevano incontrato, molto più fragile, lento. Lento nei movimenti e anche mentalmente. Fino al punto di non riconoscere alcuni di loro. Alcuni si sono commossi vedendo in lui segni delle stesse sindromi che hanno colpito i loro genitori».
E il Biden gestore del ruolo degli Stati Uniti nel mondo?
«Lì le cose non sono andate altrettanto bene. Nel complesso di una carriera politica durata oltre mezzo secolo, Biden è stato un collante: un fattore di stabilità e di tutela delle alleanze dell’America tanto sul fronte dell’Atlantico quanto su quello del Pacifico. Come senatore e come vice di Obama conosceva e rassicurava tutti. Ho frequentato a lungo l’annuale conferenza per la sicurezza di Monaco di Baviera: lì gli europei avevano un rapporto pieno di fiducia reciproca solo con due americani, Joe Biden e il repubblicano John McCain. Ma il bilancio internazionale dei suoi tre anni e mezzo di presidenza non è altrettanto positivo: c’è la macchia nera del ritiro dall’Afghanistan nell’estate del 2021. È vero che era necessario porre termine alla guerra più lunga della storia americana e che la trattativa con i talebani era stata già male impostata da Trump nell’ultimo anno della sua presidenza, ma le modalità di quell’uscita di scena dell’America sono state disastrose. E, poi, le due guerre attuali. Certo, Biden ha avuto il merito di tenere insieme l’Occidente nella difesa dell’Ucraina invasa dalla Russia rafforzando e ampliando la Nato, ma è anche vero che non è riuscito a mostrare una vera capacità di deterrenza nei confronti di Putin: la strategia delle sanzioni contro la Russia si è rivelata poco efficace e dopo più di due anni di guerra l’Ucraina ha perso terreno. E anche in Medio Oriente, l’America si è in un certo senso isolata in un appoggio incondizionato a Israele senza coordinarsi con gli europei né con gli alleati nel mondo arabo. Salvo, poi, dover prendere le distanze da un Netanyahu incontrollabile e spregiudicato».
Ora tocca a Kamala Harris, non più popolare di Biden.
«Ogni alternativa sarebbe ancora più traumatica. L’impopolarità è una cifra inevitabile in un Paese così diviso. Adesso i democratici hanno cento giorni di tempo per cercare di raddrizzare la situazione».
(da Il Corriere della Sera)
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