LA CORTE DEI CONTI SMENTISCE IL GOVERNO SUL REDDITO DI CITTADINANZA; SONO 352.000 I BENEFICIARI CHE HANNO FIRMATO UN CONTRATTO DI LAVORO
SU UN TOTALE DI 1.369.779… IL 65% HA AVUTO UN CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO, IL 15,4% A TEMPO INDETERMINATO, IL 4,1% DI APPRENDISTATO
Il governo nemico del Reddito di cittadinanza ha bisogno di nutrirsi di una narrazione che demonizzi la misura e la presenti come fallimentare. La narrazione ha un punto decisivo a suo favore finora assunto passivamente: la misura non è capace di creare lavoro.
A sostegno di affermazioni come queste si prenda l’utilizzo che è stato fatto, in ultimo sul quotidiano Libero dell’11 novembre, di un rapporto della Corte dei Conti da cui si evincerebbe che nel corso del 2020 ci sarebbero stati solo 536 assunti “con il reddito del M5S”.
Perché 536. Contratti sono fuorvianti
Il rapporto, del 28 giugno 2022, in realtà non si occupa del RdC ma della gestione finanziaria dell’Inps ed è il frutto di una relazione del magistrato interno dedicato al controllo dell’Istituto di previdenza (con cui, a quanto si apprende, i rapporti non sono particolarmente positivi).
I 536 posti di lavoro indicati vengono poi ricavati dagli “esoneri contributivi” di cui beneficiano le imprese per l’assunzione di beneficiari del reddito e che rendono la misura “non significativa”.
Sembrerebbe una bocciatura netta che, però, non tiene conto che le aziende che si rivolgono ai Centri per l’impiego, condizione necessaria per ottenere l’esonero contributivo, sono davvero poche mentre la gran parte delle assunzioni avviene direttamente o comunque fuori dai vecchi uffici di collocamento.
In ogni caso, a chiarire lo stato della situazione c’è una deliberazione della Corte dei Conti, stavolta della “Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato”, datata settembre 2021 e ancora riferita all’anno 2020. In questo caso l’oggetto della delibera è proprio il “Funzionamento dei Centri per l’impiego nell’ottica dello sviluppo del mercato del lavoro”.
I dati: 352 mila non sono pochi
L’analisi qui è davvero ampia e articolata e soprattutto contiene, a pagina 155, una tabella in cui non solo si individuano “i beneficiari del RdC tenuti alla sottoscrizione di un Patto per il lavoro (i cosiddetti Work Ready)” che, dice la Corte, al 31 ottobre 2020 sono stati pari a 1.369.779, ma anche “coloro che hanno avuto almeno un rapporto di lavoro successivo alla domanda di RdC pari a 352.068”.
I numeri sono ben differenti e la Corte dei Conti si spinge a dettagliarli nelle tipologie contrattuali.
In questo caso, il 65 per cento dei soggetti ha ottenuto un contratto a tempo determinato, il 15,4 per cento un contratto a tempo indeterminato e il 4,1 per cento un contratto di apprendistato.
Particolarmente importante anche la durata effettiva osservata da Anpal Servizi (la struttura pubblica incaricata di monitorare i risultati del RdC e i cui dati forniscono il rapporto della Corte) relativamente ai contratti a tempo determinato e di collaborazione di cui “il 69,8 per cento ha una durata inferiore ai 6 mesi mentre una quota del 9,3 per cento ha superato il termine annuale.
Il nodo del mercato del lavoro
Il problema del mancato inserimento dei beneficiari del RdC nel mercato del lavoro non risiede quindi nella misura, ma nel mercato stesso. Il quale è volubile, dipendente dai voleri e dai bisogni delle imprese, in grado di garantire contratti per lo più a tempo e per un tempo molto limitato e in condizioni fragili.
Basta guardare al tipo di professioni attribuite a questi lavoratori: il 15,6 per cento del totale – si legge ancora nella deliberazione della Corte – ha sottoscritto un contratto di lavoro nell’ambito delle professioni non qualificate nel commercio e nei servizi, il 13,7 per cento ha ottenuto il riconoscimento di una professione qualificata nelle attività ricettive e della ristorazione e solo il 2,6 per cento è stato apprezzato come artigiano, operaio metalmeccanico specializzato, installatore, manutentore etc.
Il problema principale è la composizione sociale della platea dei beneficiari.
Un’analisi sui primi tre anni di applicazione del RdC (a cura di Saverio Bombelli e Stefania Luccini per l’Inps), su quasi 2 milioni di soggetti beneficiari dimostra che il 41,8% non sono interessati alla ricerca di lavoro perché o minori, pensionati o disabili a vario titolo.
Resta quindi solo il 60% circa, circa 1,1 milione di persone, di cui per circa 291 mila, il 14,6% del totale “non risulta alcuna giornata di contribuzione dal 1° gennaio 1975 al 31 marzo 2019”.
Si tratta di persone che non hanno mai avuto un rapporto con il mondo del lavoro e che sono sempre stati inattivi. Il 70% sono donne.
“Poco meno di mezzo milione di soggetti (24,9% del totale beneficiari di Rdc)” hanno invece una posizione contributiva lontana nel tempo (nel 2017 o prima)
Una platea fatta di esuberi
Anche qui la prevalenza è di donne, poco più del 50%, e l’età media è di 46 anni, quindi espulsi dal mercato del lavoro per i quali, ad esempio, l’anzianità contributiva maturata ai fini del diritto alla pensione è in media di circa 6 anni.
“Si tratta di soggetti che all’atto della prima domanda di Rdc erano da almeno quindici mesi fuori dal mercato del lavoro attivo e senza neanche prestazioni a sostegno del reddito, congedo di maternità, malattia, eccetera”.
Ci sono infine circa 372 mila soggetti (18,7% del totale beneficiari di Rdc) che hanno una posizione contributiva contemporanea al Rdc o comunque ravvicinata.
“L’età media è di 40 anni, intermedia tra i due gruppi precedenti, rispetto ai quali è però l’unico gruppo in cui le donne sono minoranza, il 45%”. Sono questi i lavoratori veramente attivabili ma anche questi in buona parte sono stati espulsi dal mercato del lavoro per i quali il RdC serve a “integrare/proseguire la disoccupazione indennizzata oppure un part-time di modesta entità”.
I dati tornano anche nel rapporto annuale dell’Anpal riferito al 30 giugno scorso.
Circa il 72% dei beneficiari del Rdc, oltre 660 mila individui, è soggetto alla sottoscrizione del Patto per il lavoro.
Di questi, il 27,2% sono “vicini al mercato del lavoro”, ma solo “il 13% ha un’esperienza di lavoro relativamente recente conclusosi negli ultimi 12 mesi”.
La platea di coloro che invece non ha mai avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei 36 mesi precedenti il 30 giugno 2022 è composto da 481 mila individui pari a circa 73% dei beneficiari. “Si tratta – scrive l’Anpal – di individui che complessivamente esprimono alcune fragilità rispetto al bagaglio con cui si affacciano ai percorsi di accompagnamento al lavoro e che nel 70,8% dei casi hanno conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore”.
Il problema più che a monte sta a valle. La maggior parte di questi soggetti, senza il RdC, non avrebbe un lavoro, ma probabilmente finirebbe sotto i ponti. Ed è difficile credere che il governo non lo sappia.
(da il Fatto Quotidiano)
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