LA FESTA DELL’UNITA’ CAMBIA MENU TRA TORTELLINI, MOJITO E COLTELLATE
SULLO SFONDO LA CORSA ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA: BONACCINI CONTRO RICHETTI
Ora che tutti sono renziani, in Emilia Romagna, si fa un po’ fatica a spiegare a Maria, studentessa tedesca qui per un master in politiche comunitarie, che quella che si gioca in queste ore non è affatto una partita fra “amici di Matteo”.
Ma che , anzi, l’unico che davvero poteva dirsi amico di Matteo è sulla carta il più debole, gli altri sono tutti politici che vengono dalla nidiata di Errani e Bersani ma ora sono renziani, certo. Un po’ perchè qualcuno opportunamente ha cambiato idea, più in generale perchè i nomi delle cose non sempre corrispondono alle cose.
Qui per esempio Maria sta bevendo un mojito servito in un verde baretto ambulante a forma di lime davanti al ristorante «Macondo» ma non siamo in Colombia, difatti ai tavoli servono tortellini e lambrusco, e del resto anche la Festa porta il nome di un giornale che non esce più in edicola ma l’importante è il brand.
“In che senso?”. Nel senso che l’importante è non disfarsi di un marchio che funziona e tenere l’orecchio teso a quel che vuole la gente: è il mercato, è così. Festa dell’Unità , candidato renziano. Suona meglio, funziona.
E la rottamazione, il rinnovamento?, domanda Maria in apprensione, a settembre deve scrivere una tesina.
Ecco appunto. La prima Festa dell’Unità di Renzi presidente, qui al Parco Nord di Bologna, segna il minuto esatto in cui alla prova del governo nelle regioni rosse, Toscana ed Emilia, gli uomini forti del partito-di-prima sono invitati a restare pure al loro posto nel partito-di-dopo. Rossi in Toscana, Bonaccini in Emilia.
Un «rinnovamento nella continuità », dice sorridendo Sergio Cofferati che di questa città è stato pregato di fare il sindaco.
«Evidentemente adesso al premier conviene così: tenere buone le alleanze di governo nazionale in cambio di una certa tolleranza nelle roccaforti ex Ds. Non è che Renzi non sappia di chi può fidarsi e di chi no, che non veda la data della carta d’imbarco sul suo volo. Anche quelli arrivati l’altro ieri se servono sono i benvenuti. Poi certo, ogni tanto qualcuno si fa male e in Emilia in particolare bisogna stare attenti ai sorrisi. Spesso a tavola il menù è tortellini, cotechino e una pugnalata per dessert».
Fuori di metafora i volontari allo stand del gioco del tappo, alla Festa, dicono che Stefano Bonaccini il segretario regionale come candidato è meglio di Manca sindaco di Imola perchè «tiene insieme il vecchio e il nuovo, con Manca hanno provato a far saltare le primarie ma non poteva funzionare. Manca renziano proprio non è». Infatti no.
Daniele Manca era stato indicato da Bersani ed Errani, Renzi aveva detto ok ma poi Debora Serracchiani ha fatto un giro tra i circoli, ha dato uno sguardo ai sondaggi, ha letto le mail e ha valutato che non fosse una buona idea.
Ci sarebbero stati comunque altri candidati. Matteo Richetti, per esempio: «Che già a luglio diceva a Montecitorio: “Se non mi candido adesso quando lo faccio?”
Aveva già deciso. D’altra parte Renzi lo teneva in un cono d’ombra inspiegabile con ragioni solo politiche», dice Sandra Zampa, prodiana, seduta in prima fila al dibattito della Festa.
Matteo Richetti si è candidato con un post su Facebook l’altro ieri.
Erano venti giorni che taceva. Alla Leopolda degli inizi, in tempi di renzismo aurorale e a Palazzo irriso, il premier lo esibiva come la sua quinta colonna in Emilia: «Abbiamo con noi un pezzo di Modena».
Poi, nel tempo, il freddo. Nessun incarico di partito, nessun incarico di governo.
Sui motivi personali del distacco, apparenti dissapori su comuni amicizie, tutti si attardano e insieme sorvolano nelle notti bolognesi.
«Certo motivi di natura politica non ce ne sono stati a meno che non si voglia attribuire tutto al voto contrario di Richetti all’ingresso nel Pse», dice Elly Schlein, classe 1985, la civatiana di Occupy Pd che con 53700 preferenze ha strappato il seggio all’europarlamento al veterano Caronna.
«A me piacerebbe che si parlasse dei temi: i rifiuti, gli inceneritori, l’immigrazione, i diritti. Che non si giocasse una partita già scritta, con Bonaccini segretario e gli altri che fanno da comparse, ma non so se siamo ancora in tempo».
Le primarie sono fra meno di un mese, il 28 settembre.
Palma Costi, già lettiana sostenuta nelle zone colpite da terremoto, potrebbe ritirarsi già oggi. Resterebbero in quattro.
Il romagnolo Roberto Balzani, radici repubblicane, laico, ambientalista. Patrizio Bianchi, ex rettore di Ferrara, presidente di Nomisma quando Prodi si candidò con l’Ulivo, profilo altissimo di intellettuale cattolico.
Oltre ai prodiani potrebbero convergere su di lui i voti della sinistra Pd, cattolici di base passati per Sel come l’assessore bolognese Amelia Frascaroli, i civatiani. Pippo Civati: «In Emilia si è rimandato il congresso regionale di febbraio, poi mai fatto. Siamo di fronte alle consuete trattative interne tra aree. Sono sempre i soliti che decidono».
Civati potrebbe avere peso come coalizzatore di dissenso, il rafforzamento di Bianchi rendere meno scontata la corsa tra Bonaccini e Richetti.
D’altra parte, dice Amelia Frascaroli con occhi limpidi come la sua storia, «le primarie non è serio farle sempre finte». Lei, con Flavia Prodi e quella che ai tempi di don Nicolini era la sinistra bolognese della Curia, lavora da quarant’anni dalla parte degli ultimi.
Si candidò alle primarie a sindaco contro Merola, che allora era bersaniano oggi renziano. «Sono nonna di quattro nipoti, cerco di lavorare a progetti di economia sociale, provo a pensare che lavorando si riescano a cambiare le cose ma quelli che prima fanno e poi dicono sono mal sopportati dal sistema. Ci sopportano. La balcanizzazione della politica della sinistra è il risultato di infiniti giochi di palazzo, sempre gli stessi anche se cambiano i nomi. Sono tutti dentro al gioco, quello che conta è il gioco».
Un gioco grande, perchè non si tratta mica solo della mappa del potere renziano. Alle feste dell’Unità emiliane Renzi aveva già vinto tre anni fa, quando le volontarie in cucina dicevano: darà lavoro ai nostri figli, ha la loro età .
La partita è sul governo di una regione ancora fra le più ricche e produttive d’Italia, sul suo modello di sviluppo.
Nel 2015 in Emilia si fa il presidente della regione, a Bologna cambiano il rettore e il vescovo. Tre stanze del potere decisive.
La partita del rettorato seguirà fatalmente quella politica, Ivano Dionigi non può ricandidarsi e il Pd vincente deciderà su chi puntare: se sul rinnovamento davvero o sulla continuità , i nomi sono già sul tavolo.
Il vescovo Cafarra, destra della Curia vaticana, lascerà il passo – qui tutti sperano – ad un uomo di Bergoglio.
«Delle tre partite la più interessante, direi l’unica, mi pare quella del vescovo», dice Franco Bifo Berardi, scrittore filosofo protagonista dagli anni Sessanta della vita politico- culturale bolognese.
«Il mondo va da un’altra parte, la politica non crea più nulla non ha oggetto nè visione, replica se stessa all’infinito in uno scacchiere di potere. Le cose cambiano sul terreno della società , e in Italia l’unico vero rinnovatore oggi è il Papa».
Alla Festa inizia il dibattito tra Fassino, Zingaretti, Bonaccini. Richetti, unico renziano doc e solo oustider nella corsa, non è stato invitato alla discussione sul buongoverno.
«La burocrazia di partito non fermerà quel che fa crescere il paese», dice. Diventa difficile spiegare a Maria che la burocrazia di partito, in questo caso, porta le insegne di Renzi.
Ma è anche vero il contrario, perchè ora che non c’è chi non possa dirsi renziano il vero “uomo di Matteo” si conoscerà alla fine.
Sarà quello che vince.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica“)
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