LA GEORGIA DOMANI AL VOTO, RESA DEI CONTI TRA L’OLIGARCA FILORUSSO E L’OPPOSIZIONE EUROPEISTA
LO SPETTRO DELL’UCRAINA E QUELLO DELLA BIELORUSSIA
Georgia al voto dopo mesi di disordini civili, una campagna elettorale segnata da violente intimidazioni ai danni delle opposizioni, accuse di ingerenze incrociate mosse a Mosca, Washington e Bruxelles, con la consapevolezza che la chiusura dei seggi e la proclamazione dei risultati, chiunque ne esca vittorioso, innescheranno una crisi dall’esito imprevedibile.
Un’elezione che sa di resa dei conti: nessuno pare pronto ad accettare una sconfitta. Le implicazioni geopolitiche sono di notevole rilievo e avranno ripercussioni fondamentali sull’intera, strategica regione del Caucaso meridionale.
In ballo c’è la fragile democrazia di uno Stato saldamente nell’orbita occidentale da più di vent’anni e, con ottime probabilità, il suo posizionamento internazionale.
Tutti gli schieramenti dicono di voler portare la Georgia in Europa. Non potrebbe essere altrimenti, in un Paese dove la volontà di adesione è espressa da percentuali bulgare.
Ma il diavolo sta nei dettagli: il partito al governo afferma di volerlo fare “con dignità” e “da stato sovrano”. Retorica andata di pari passo con l’adozione di leggi illiberali che hanno portato al congelamento del percorso comunitario del Paese e allo scontro frontale con gli Stati Uniti. E il flirt a distanza tra le autorità di Tbilisi e il Cremlino – nell’assenza di rapporti diplomatici a seguito del conflitto del 2008 e il riconoscimento, da parte della Russia, dell’indipendenza di due regioni separatiste georgiane – va verosimilmente letto come il gioco con il fuoco di un oligarca che a causa di scelte tattiche sbagliate e di un contesto globale in subbuglio teme di perdere il potere.
L’oligarca Bidzina Ivanishvili
Gli interessi di Bidzina Ivanishvili, il miliardario fondatore di Sogno georgiano, alla guida del Paese dal 2012, “non coincidono più con quelli nazionali”, afferma Kornely Kakachia del Georgian Institute of Policy, analista di indubbia imparzialità che riferisce di uno Stato preso in ostaggio.
Ivanishvili arriva al governo con un’ampia coalizione di forze democratiche e filoccidentali con cui mette fine al regno di Mikheil Saakashvili, il controverso eroe della rivoluzione delle rose, atlantista di ferro e riformatore neoliberista che sconta alle urne la marcata postura dispotica e l’incauta disinvoltura in campo militare.
Dopo un anno da primo ministro lascia l’incarico, preferendo controllare il suo partito dalle retrovie. Nel tempo, Sogno georgiano perde tutti i pezzi fino all’attuale conformazione monocolore, sposando progressivamente le posizioni tipiche del conservatorismo nazionale, impregnate di teorie della cospirazione.
Un’evoluzione che riflette l’allargamento della forbice tra due diversi interessi: quello di un Paese impegnato in un percorso di democratizzazione nel contesto di una futura adesione all’Ue, che necessita passi via via più decisi, e quello di un oligarca che vede le riforme chieste da Bruxelles come una minaccia alla sua presa sullo Stato. Sono molteplici i segnali che indicano come Ivanishvili non vorrebbe una rottura con l’Occidente, cercando piuttosto una relazione transazionale.
Ma la Georgia non è l’Azerbaijan, non ha molto da offrire al di là della sua democrazia e del suo posizionamento geopolitico. Il rischio di finire isolati in un abbraccio mortale con Mosca è alto. E non c’è evidenza del fatto che una vittoria di Trump alle elezioni Usa possa cambiare sostanzialmente la partita, certo non nel modo in cui spera Sogno georgiano. Lo scorso dicembre Ivanishvili è tornato alla vita pubblica da presidente onorario del partito. Oggi corre come capolista.
Fin dal crollo dell’Unione sovietica, di cui era parte, Tbilisi è imprigionata in un susseguirsi di cicli punteggiati di governi nati sulla spinta di grande legittimazione popolare, salvo poi maturare pulsioni autoritarie sempre più nette ed essere infine cacciati via. La sensazione di trovarsi vicini alla chiusura di un ciclo è forte.
L’opposizione divisa
L’opposizione compete strutturata in quattro poli. Divisa da personalismi e vecchi rancori, è unita dalla comune convinzione di starsi giocando l’ultima possibilità di arrestare il processo di consolidamento autoritario del partito di Ivanishvili, che in caso di ottenimento di una super maggioranza promette di metterli tutti fuori legge. Né più né meno. Sondaggi partigiani, che profilano scenari antitetici a seconda di chi li ha commissionati, e l’alta quota di indecisi, rendono arduo prevedere i risultati. Ma la lettura degli esperti più equilibrati restituisce il quadro di un’elezione sul filo del rasoio.
Gli scenari
Sogno georgiano ha perso popolarità rispetto alla scorsa tornata ed è giudicato irreale che faccia persino meglio e conquisti tre quarti dei posti in Parlamento, così da poter intervenire sulla Costituzione. A maggior ragione in un sistema divenuto proporzionale. La sua vittoria è più che possibile ma la percezione della regolarità del voto si giocherà sulle percentuali: un risultato del partito al governo superiore al 45% sarebbe reputato dalle opposizioni come manipolato. Se Sogno georgiano prendesse addirittura più del 50%, e con la redistribuzione dei seggi dei partiti rimasti sotto allo sbarramento del 5% ottenesse una maggioranza costituzionale, è facile prevedere contestazioni di piazza di dimensioni colossali. Il rischio di frodi è solo parzialmente mitigato dall’introduzione del voto elettronico in gran parte delle postazioni elettorali: il ruolo degli osservatori sarà fondamentale.
Lo spettro dell’Ucraina
Intanto, Tbilisi è avvolta in un’atmosfera di quiete prima della tempesta. Lungo le strade svettano i cartelloni elettorali di Sogno georgiano: da un lato, città ucraine in rovina straziate dalle bombe russe. Chiese, ponti, aule scolastiche ridotte a macerie in un lugubre bianco e nero. Dall’altro, immagini del loro equivalente locale: paesaggi e costruzioni intonse dalle tinte brillanti. “No alla guerra! Scegli la pace”, vi si legge. Un conflitto con Mosca, è l’efficace narrativa che guida la campagna del governo, sarebbe la conseguenza di una vittoria dell’opposizione, marionetta di un misterioso “partito globale della guerra”, con base in Occidente e decisiva influenza su Washington e Bruxelles, che vuole prolungare indefinitamente il conflitto in Ucraina e aprire un secondo fronte in Georgia.
Per le opposizioni, il cui tema portante è solo relativamente meno apocalittico benché assai più ancorato alla realtà, la scelta è tra un futuro democratico ed europeo o in uno Stato autoritario posto sotto il dominio del Cremlino. Il “partito della guerra”, ribattono, è a Mosca e il rischio di un suo intervento, non certo a causa di mosse ostili di Tbilisi ma in caso di sconfitta di Sogno georgiano, o di sommovimenti dal potenziale rivoluzionario in caso di brogli, è reale. Non tanto nella veste di un’invasione su larga scala, considerata dagli analisti implausibile, quanto di provocazioni al “confine” con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud: le regioni separatiste georgiane sostenute dalla Russia, che vi staziona in forze con basi, truppe e mezzi bellici. Lo spostamento di una manciata di carri armati potrebbe essere sufficiente a mandare nel panico la popolazione, svuotando le strade dai manifestanti. La Georgia non è in grado difendersi, né fa parte di alcuna alleanza militare.
Il rischio Bielorussia
Ma c’è chi non scarta l’ipotesi che, al contrario, potrebbe arroventare ancora di più gli animi. Un intervento russo in favore di Sogno georgiano sarebbe interpretato dalla cittadinanza come un segnale inequivocabile di vicinanza a Mosca, afferma Tina Khidasheli, ministra della Difesa tra il 2015 e il 2016 in quota Repubblicani, in coalizione con il partito di Ivanishvili. A quel punto, dice chiamando il miliardario per nome, «Bidzina potrebbe fare la fine di Ceausescu», il dittatore rumeno giustiziato dopo la rivoluzione del 1989. Un’iperbole, sì, ma «quello di cui sono sicura», conclude, «è che questo Paese non diventerà mai la Bielorussia».
(da Open)
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