LA GIUSTIZIA SFIDUCIATA
UN GOVERNO FONDATO SULL’IMPUNITA’
Ci sono momenti in cui la forza dello svelamento è più forte di ogni dissimulazione. E ieri è stata una di quelle giornate. Il ministro di Giustizia Carlo Nordio era chiamato in Parlamento ad affrontare la mozione di sfiducia
delle opposizioni (per altro dall’esito scontato) sul caso Almasri, mentre la posizione della ministra del Turismo Daniela Santanchè era all’attenzione del giudice dell’udienza preliminare di Milano che doveva e dovrà decidere sulla sua richiesta di rinvio a giudizio per truffa aggravata ai danni dell’Inps. Sappiamo come è finita.
Nordio è uscito dal Parlamento così come ci era entrato. Santanchè ha chiesto e ottenuto con il più consumato degli escamotage (la sostituzione di uno dei suoi avvocati con conseguente richiesta dei “termini a difesa”) un rinvio di due mesi dell’udienza preliminare in cui è imputata, avvicinando di un’altra generosa spanna il suo eventuale processo alla mannaia della prescrizione (il 2027) e dunque all’eutanasia del reato di cui è accusata.
Si dirà: in fondo, nulla di nuovo sotto il sole. Non fosse altro perché sappiamo, ormai, che nel canone della destra di governo il principio di responsabilità – politica innanzitutto, per non dire penale – è semplicemente ignoto.
Convinta infatti che la potestà popolare vinta nelle urne liberi dall’obbligo politico (ed eventualmente penale) di dare conto dei propri comportamenti o delle proprie omissioni, ogni passaggio che metta in discussione questo dogma è vissuto e rappresentato come un’ignobile e intollerabile strumentalizzazione delle opposizioni. O, quando ci si trovi in un tribunale, come un complotto ordito da una giustizia politicizzata. In quanto tale, un’ordalia non in cui difendersi ma da cui difendersi.
Si chiama principio di impunità. Ha una lunga storia nella tradizione politica del Paese e, fino all’insediamento del governo Meloni, si riteneva che avesse avuto un indiscusso e irripetibile campione in Silvio Berlusconi. Ma, appunto, e qui è la novità, è forse davvero arrivato il momento di aggiornare i libri di storia. Il modello di giustizia (penale) di Meloni, Nordio e dei vari Salvini, Santanchè, Delmastro, Donzelli, Costa, la cultura politica che quel modello esprime, fa infatti apparire oggi il ventennio di manomissioni berlusconiane del codice di procedura penale come un giardino di infanzia. Non ha infatti precedenti un ministro di giustizia che, come per il caso Almasri, in aperta violazione del diritto internazionale, non solo disattende un obbligo fissato dal trattato istitutivo della Corte penale internazionale (quello di consegnare il ricercato arrestato in forza di un mandato della CpI) ma, per giunta, in violazione di un principio costituzionale, si erge a giudice di seconda istanza di
decisioni assunte in via giurisdizionale da due diverse corti di merito (la CpI all’Aja e la Corte di appello di Roma). Di più, rivendica quella doppia violazione come legittima, farfugliando citazioni di isolati giuristi pescati nelle rassegne stampa del ministero. Fino all’enormità di accusare le opposizioni e la loro legittima richiesta di convincenti risposte nel merito di essersi trasformate in un “tribunale dell’Inquisizione”. Non è purtroppo dato sapere cosa avrebbe pensato di questa ennesima caricaturale rappresentazione del rapporto tra responsabilità politica e penale, tra politica e magistratura, il professor Franco Cordero, uno dei più grandi studiosi dell’Inquisizione e già implacabile intelligenza giuridica nello smascherare durante il ventennio berlusconiano quale sostanza nascondessero le pose dei sedicenti liberali all’assalto del processo penale. Ma sappiamo al contrario cosa pensino le Nazioni Unite dello spettacolo sin qui offerto dal nostro ministro di Giustizia e dal nostro governo sul caso Almasri (nei confronti dell’Italia è stata avviata un’istruttoria per violazione dello statuto della CpI).
Nel tentativo di Nordio e della maggioranza di trasformare la replica a una mozione di sfiducia delle opposizioni in un processo a quelle stesse opposizioni e alle loro asserite recondite intenzioni (indovinate un po’? La separazione delle carriere dei giudici) è del resto il segno dell’impostura cui il canone di questa destra si acconcia ogni qual volta tocchi il tema della giustizia. La destra racconta debba essere “giusta”. Nella declinazione che ne abbiamo visto dare ieri dalla ministra Santanchè, che di questa destra è uno dei campioni, sarebbe più giusto dire “prescritta”. Incapace dunque di raggiungere un verdetto di responsabilità, quale che sia. Una condizione terribile per chi, innocente, vorrebbe vedere riconosciuta la propria buona fede e restituito il proprio onore politico. Una condizione al contrario formidabile per chi, come Santanchè, non volendo rispondere politicamente dei propri comportamenti, si rifugia nella finzione di volerne attendere “serenamente” il giudizio in un’aula di tribunale sapendo o lavorando affinché quel giudizio non arrivi mai.
“Se voi farete del vostro peggio, noi faremo del nostro meglio”, ha ammonito ieri Nordio in Parlamento rivolgendosi alle opposizioni. Non si capisce se in “quel nostro meglio” ci sia una minaccia o non invece l’involontario umorismo di un ex magistrato che ormai non è più nemmeno la controfigura dell’uomo di diritto che pure un tempo è stato. Forse sia l’una che l’altro.
/da La Repubblica)
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