LA MAFIA DEI PASCOLI SPARA: DALLE MINACCE ALLE PALLOTTOLE
SINDACI E DIRIGENTI REGIONALI BLOCCANO LA TRUFFA DEI FONDI EUROPEI E I MAFIOSI SPARANO… ANTOCI NON HA PAURA: ” DOBBIAMO CAMBIARLA TUTTI INSIEME QUESTA TERRA, IO STO FACENDO SOLO IL MIO DOVERE”
Quando ha visto che le ripetute minacce non hanno avuto alcun effetto, la mafia ha deciso di colpire in maniera inequivocabile con un agguato che doveva essere mortale. Cosa nostra ha messo nel mirino il presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, perchè si è vista soffiare un giro d’affari di diversi milioni di euro.
Infatti, a fronte di una spesa di 30 euro ad ettaro per un terreno pubblico destinato a pascolo, chi ottiene la concessione dagli enti prende un contributo europeo di circa 3 mila euro a ettaro.
È questo il business che sta dietro agli affari della mafia dei pascoli con interessi nel Parco dei Nebrodi che abbraccia tre territori, quelli di Messina, Catania ed Enna.
Si tratta di centinaia di milioni di euro, affari, sostengono Crocetta e Lumia, messi a rischio dalle revoche delle concessioni avviate da tempo dal presidente del Parco Antoci, scampato a un agguato, applicando il protocollo di legalità firmato con la Prefettura di Messina a marzo del 2015.
Un agguato a colpi di fucile verificatosi la notte scorsa, mentre Antoci tornava a casa con la scorta dopo una cena lungo strada provinciale tra i comuni di Cesarò e San Fratello, nel messinese.
“Quello subito da Antoci – ha commentato Lumia – è stato un agguato militare di alto livello che non ha raggiunto lo scopo solo grazie all’intervento del dottor Manganaro, che ha sgominato il piano degli attentatori e li ha costretti a lasciare il campo”.
Il senatore del Pd ha aggiunto: “Ieri si è consumato un atto di guerra che mancava da anni in Sicilia. Se è guerra, guerra sia. Un atto di guerra ha bisogno di una risposta altrettanto rigorosa. Antoci è provato ma non piegato. Lo Stato non sottovaluti questa sfida di portata generale, cui tutti dobbiamo dare una risposta adeguata. Per mafiosi e collusi non ci sarà pace, faremo la guerra con nomi e cognomi”.
Antoci, dopo essere stato sentito dagli magistrati, ha rivendicato il proprio lavoro: “Questa esperienza traumatica – ha affermato – mi ha dato la conferma che quello che abbiamo toccato sono interessi enormi. Cosa nostra si finanziava con i fondi europei, dopo che li abbiamo messi in difficoltà ha reagito”.
“Siamo certi – ha aggiunto – che questo attentato viene dalle persone alle quali abbiamo fatto perdere un affare milionario”.
“Abbiamo fatto un protocollo di legalità con la prefettura di Messina – ha spiegato il presidente del Parco dei Nebrodi – che ha disarcionato interessi mafiosi per diversi milioni di euro. Le ultime sentenze del Tar ci hanno poi dato ragione e questo ha dato loro fastidio”.
Antoci ha poi ribadito di essere determinato ad andare avanti: “Io non mi sento solo già tra qualche giorno riprenderò il mio lavoro, lo Stato mi è stato vicino, ma lo Stato siamo noi tutti: dalla magistratura, alle forze dell’ordine, ai cittadini. Dobbiamo cambiarla tutti insieme questa terra. Non sto facendo niente di speciale. Sto facendo solo il mio dovere”.
Con Antoci alla guida dell’ente (dal 2005 senza presidente, aveva visto susseguirsi quattro commissari), nell’area dei Nebrodi si è rotto quella sorta di “patto sociale” che andava avanti da decenni e che consentiva l’utilizzo per pascolo, a canoni irrisori, dei terreni demaniali.
Alla rottura ha contribuito non poco il giovane sindaco di Troina, Fabio Venezia, anche lui sotto scorta per le numerose minacce ricevute.
Quando Troina si è aggiunta agli originari comuni del Parco, ha portato “in dote” 4.200 ettari di terreni a pascolo che il primo cittadino ha rifiutato di concedere alle solite condizioni.
Il presidente del parco dei Nebrodi ha trovato un alleato e ha cominciato la serrata verifica dei contratti.
L’allargamento dei controlli (il Parco ha un’estensione di 86 mila ettari e comprende 24 comuni) e la richiesta di certificazione antimafia e dei carichi pendenti è avvenuto anche per chi intende stipulare o rinnovare contratti di piccolo importo, e comunque ben al di sotto della soglia prevista per legge.
Come ricorda un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica il 15 gennaio sulle 25 certificazioni chieste, 23 hanno avuto lo stop dalle prefetture di Enna e Messina per reati come l’associazione mafiosa e per legami con i più potenti clan mafiosi dell’Isola, quelli dei Bontempo Scavo, dei Conti Taguali, dei Santapola e dei clan “tortoriciani” e di Cesarò.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply