LA MELONI DA’ I PIENI POTERI AL SOTTOSEGRETARIO ALFREDO MANTOVANO E FA INCAZZARE GLI ALLEATI SALVINI E TAJANI
IL MAGISTRATO CRESCIUTO ALL’OMBRA DI FINI STA SCONTENTANDO PIÙ DI QUALCUNO ANCHE COL PROGETTO DI RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI CHE PREVEDE L’ACCORPAMENTO DELL’AISI E DELL’AISE – IL FASTIDIO DI NORDIO E CROSETTO. IL DUALISMO CON IL COLLEGA FAZZOLARI
Le deleghe ufficiali sono quelle per i servizi segreti e il comando del dipartimento sulle politiche contro la droga. Ma il campo di azione di Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è molto più esteso, quasi illimitato, tracimando nelle politiche sull’immigrazione, in quelle per la sicurezza fino addirittura a dettare i tempi della strategia sulla natalità, una delle priorità del governo. Un’onnipresenza sui temi in agenda.
Del resto è noto che – quando c’è un nodo da sciogliere – la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, chiama Mantovano per chiedere consulto e quindi una soluzione. A conferma della massima fiducia nei suoi confronti, la premier gli ha affidato il coordinamento del comitato interministeriale sui migranti. Un organismo più formale che fattuale, comunque utile a indicare le gerarchie interne all’esecutivo. Mantovano, a quasi un anno dall’insediamento, si è insomma conquistato la definizione di uomo più potente a Palazzo Chigi. Per qualcuno è il vero vicepremier.
PIENI POTERI
Il sottosegretario legge in anteprima i provvedimenti più importanti in arrivo nei consigli dei ministri. Li valuta, li filtra e impone le modifiche laddove lo ritenga necessario, senza andare per il sottile o badare alle mediazioni. Il tratto caratteriale del sottosegretario resta rigido, con una salda formazione di destra vecchio stampo, con posizioni «al limite dell’oltranzismo», racconta chi ha dovuto trattare su alcuni dossier in questi mesi.
Il compromesso non è la sua migliore arte, a dispetto delle movenze da uomo mite, poco incline alla polemica. Mantovano inanella un altro incarico, seppure unofficial: è l’unico a tenere i contatti con il Quirinale per conto di Meloni. La premier si fida solo di lui e il sottosegretario ricambia con la professione di massima lealtà. Anche quando parla pubblicamente, non esprime i propri pareri ma «si fa portavoce del pensiero della presidente del Consiglio», si dice nei corridoi di palazzo Chigi.
Uno strapotere che attira ostilità trasversali, dal Viminale di Matteo Piantedosi al leader della Lega, Matteo Salvini. Le invasioni di campo sui temi di sicurezza e immigrazione restano indigeste. In particolare il ministro dell’Interno è infastidito dal commissariamento di fatto sul capitolo-migranti. La battaglia politica tra Piantedosi e Mantovano è destinata a durare e Salvini è fermamente schierato al fianco del ministro dell’Interno.
Sull’immigrazione attenderà al varco l’operato del sottosegretario plenipotenziario, pronto a mettere il dita nella piaga di un eventuale fallimento. Nella Lega il solo nome di Mantovano provoca un istantaneo irrigidimento: «Meglio non parlarne», replica più di qualche fonte. Ma c’è chi aggiunge: «Basta riascoltare il suo intervento all’ultimo meeting di Comunione e liberazione. Ha parlato di tutto, di guerra, energia e natalità. Non era l’intervento di un sottosegretario, ma la descrizione di un programma di governo a nome di Meloni».
OSSESSIONE INTELLIGENCE
Addirittura alla Farnesina di Tajani è arrivata l’onda lunga delle ingerenze firmate Mantovano, ha in mente il disegno di rafforzare il ruolo dell’intelligence nell’ambito della diplomazia. Così da relegare quasi a un ruolo di rappresentanza il ministro degli Esteri. Per Forza Italia il problema è pesante con un leader ridimensionato addirittura sulle proprie competenze.
E che il sottosegretario stia scontentando più di qualcuno emerge con il progetto di riforma dei servizi segreti, una vera ossessione quella dell’intelligence, che gli compete nei panni di autorità delegata. Il sottosegretario ha rilanciato il progetto di un accorpamento dell’Aisi e dell’Aise, che si occupano della sicurezza nazionale su due livelli, la prima sul piano interno, la seconda su quello esterno. L’ipotesi ha scatenato la contrarietà di organizzazioni tutt’altro che ostili al governo, come il Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia (Coisp).
«Prima come cittadino e poi come rappresentante della polizia, sono preoccupato dalla realizzazione di un’unica agenzia», dice a Domani Domenico Pianese, segretario del sindacato. Il motivo? «La pluralità di agenzie è una garanzia per la qualità della democrazia. L’unificazione prospettata nella riforma non evita sovrapposizioni, ma diventa la concentrazione di una serie di poteri. Non il migliore modello da seguire».
FRATELLI COLTELLI
Il fastidio verso i superpoteri attribuiti al sottosegretario non è circoscritto agli alleati o agli interlocutori esterni: riguarda anche Fratelli d’Italia. A Largo Arenula, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, avverte il fiato sul collo di Palazzo Chigi nella persona di Mantovano, suo collega magistrato, che vuole avere voce in capitolo sugli interventi in materia di giustizia. E qualche malumore è segnalato al ministero della Difesa con Guido Crosetto che non gradisce l’iper attivismo del compagno di partito.ù
Il vero dualismo interno si gioca a Palazzo Chigi con l’altro sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, che dopo la vittoria elettorale ha accarezzato il sogno di essere il punto di riferimento alla presidenza del Consiglio, forte del legame con l’amica Giorgia. I rapporti di forza sono però imparagonabili. Una fonte di maggioranza li sintetizza bene: «Mantovano sposta i carri armati (politici, ndr), Fazzolari gioca a risiko».
Certo, Meloni ha cercato di blandire Fazzo, riconoscendogli un ruolo nell’ambito della comunicazione e creando un dipartimento ad hoc per l’attuazione del programma. Ma se sull’iter dei provvedimenti c’è qualche nodo scottante da sciogliere in parlamento, è Mantovano a telefonare ai presidenti di commissione o ai capigruppo per trasmettere il verbo della presidente del Consiglio.
Le ragioni di tanto potere hanno una radice politica profonda. Era già conoscitore dell’apparato statale, quando la premier era appena un’apprendista leader, che cresceva all’ombra di Gianfranco Fini. Meloni, già allora, ammirava Mantovano per la sua capacità di muoversi nei gangli del potere, conservando il saldo ancoraggio a destra.
Il legame si è consolidato con la nascita di FdI, nonostante la posizione più defilata assunta dall’attuale sottosegretario: era un suggeritore invisibile. E appena è stato necessario il cambio di passo, ha abbandonato il dietro le quinte per occupare uno spazio importante sul palcoscenico governativo. Al prezzo di indispettire sia gli alleati che i big del suo partito.
(da Domani)
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