LA MINORANZA PD “NON GRADITA” ALLA MANIFESTAZIONE DI CGIL E FIOM: “O NOI O RENZI”
E CIVATI DICE: “SE ANDIAMO AVANTI COSI CI SERVE LA SCORTA”
Piazza e coerenza. Anzi, piazza è coerenza:
“Chi vota la fiducia al governo non deve venire alle manifestazioni promosse dalla Cgil; non deve, non sarebbe gradito”.
Su Facebook la Fiom, dura e pura dell’Emilia Romagna, risponde così all’adesione, annunciata nel day after della fiducia al Senato, della minoranza Pd alla manifestazione del 25 ottobre a piazza San Giovanni. Adesione convinta e totale.
Sentite Alfredo D’Attorre, ormai astro nascente del nuovo bersanismo: “Leggeremo la piattaforma della manifestazione. Se sarà condivisibile, immagino che avrà una larga adesione nell’area di minoranza del Pd. Io do per scontato che la delega sarà modificata alla Camera sui punti irrisolti e spero che il 25 non saremo in una situazione di scontro frontale”.
Pure Gianni Cuperlo dice: “Certo che ci sarò in piazza, con convinzione”.
Notizia che non suscita grandi entusiasmi dalle parti del sindacato.
Pippo Civati deve aver annusato l’aria meglio dei suoi colleghi di partito: “Io — dice mentre attraversa il Transatlantico — in piazza ci vado. Ma se andiamo avanti così noi del Pd dobbiamo procurarci la scorta”.
Già , la scorta. Perchè piazza per il sindacato è, innanzitutto, opposizione al governo. Quella che a parole Fassina continua ad annunciare, anche dopo la fiducia (o la resa) al Senato: “Io sarò in piazza con la Cgil. E se non ci saranno significative modifiche del jobs act alla Camera, per me il provvedimento non è sostenibile”.
Per gli ex diessini, non c’è un problema di “coerenza”: “La manifestazione — prosegue Fassina – è contro il provvedimento, non contro il governo”.
Per i sindacati, e non solo per la Fiom, è “contro”.
Per carità , Susanna Camusso va ripetendo che di veti sui partecipanti non se ne mettono: “Chi condivide, viene, non si esclude nessuno”.
Ma i malumori (e le preoccupazioni), nel cuore dell’organizzazione Cgil, sono tangibili. San Giovanni è una battaglia di quelle complicate. Non una passerella per chi si è arreso nel Palazzo.
Piazza è anche numero. Trapela da Corso Italia che l’obiettivo è riempire San Giovanni con 300mila persone.
Un decimo rispetto alla battaglia epocale del Circo Massimo, di dodici anni fa. Sarebbe già un successo. Perchè è cambiato il mondo. È cambiata la sinistra.
Ed è cambiato pure l’articolo 18.
Ecco, di numeri la minoranza del Pd ne porta assai pochi. Tesserati, iscritti, pullman, sono lontani i tempi del collateralismo, ma anche quelli dei buoni rapporti quando la Cgil organizzava pullman per portare la gente alle manifestazioni dove sul palco c’erano i leader della sinistra, e quando la sinistra organizzava pullman per il Circo Massimo di Sergio Cofferati
Ora c’è Renzi, il grande rottamatore dell’articolo 18. E la sinistra Pd ha votato con lui. Pure l’area (o la corrente) chi vuole andare in piazza.
Carla Cantone, segretaria dello Spi-Cgil, il potente sindacato dei pensionati che, come al solito, si sobbarcherà lo sforzo maggiore dice con franchezza: “Beh, certo, noi dobbiamo lavorare per una grande azione unitaria contro i nemici del sindacato, sennò ci asfaltano tutti. Certo è che chi vota la fiducia a Renzi ha un’esigenza: mettersi d’accordo con se stesso, prima ancora che con la piazza”.
In fondo una riconciliazione tra “pensiero” e “azione” è la stessa richiesta che rivolge agli ex diessini il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini.
Perchè l’equivoco non può durare a lungo: di lotta e di governo, di fiducia e di sfiducia, con Renzi e con la Camusso.
Per ora il premier non ha alcuna intenzione di prendere provvedimenti disciplinari sui dissidenti Tocci, Mineo, Casson che non hanno votato la fiducia.
Anche se il problema c’è. E la frase del vicesegretario Guerini al termine della segreteria suona come rivolta anche al prossimo voto di fiducia e non solo riferita all’episodio di ieri: “Non partecipare al voto di fiducia — dice Guerini – mette in discussione i vincoli di relazione con il proprio partito politico”.
Del caso “dissidenti” se ne parlerà alla direzione del 20 ottobre. E se ne parlerà al gruppo, in Senato, nei prossimi giorni.
Racconta più di un membro della segreteria del Pd che un profondo conoscitore della comunicazione come il premier sa bene che un’espulsione rappresenterebbe una macchia.
E, proprio nel momento in cui ha mietuto un successo, non commetterebbe mai l’errore di andare sui giornali nelle vesti dell’epuratore.
Vuoi mettere il gusto di vedere i suoi oppositori fischiati pure tra le bandiere rosse, dopo averli piegati in Senato.
(da “Huffingtonpost”)
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