LA NUOVA SCENEGGIATA DI SALVINI LASCIA BASITO MATTARELLA, I LEADER DI M5S E LEGA SONO DUE DISPERATI
BERLUSCONI FURIOSO CON IL LEADER LEGHISTA CHE AVEVA PROMESSO IL FALSO A DI MAIO, A SUA VOLTA VITTIMA DEL SUO DELIRIO DI ONNIPOTENZA… “SALVINI VUOLE SOLO NUOVE ELEZIONI, NON GLI INTERESSA DARE UN GOVERNO AL PAESE”
Deve essere apparso uno spettacolo ai limiti della commedia, agli occhi del capo dello Stato, quello andato in scena oggi nel secondo giro di consultazioni.
Che non solo ha certificato che è franato del tutto lo schema di una trattativa tra centrodestra e Cinque Stelle, ma è franato nell’ambito di una sceneggiata, a tratti quasi incomprensibile, certamente foriera di uno strascico di polemiche e di confusione.
Dopo che la Casellati riferirà al capo dello Stato lo stato dell’arte, saranno necessari almeno un paio di giorni di riflessione prima di immaginare un nuovo schema, sia esso una nuova esplorazione da affidare a un’altra figura sia esso il conferimento del pre-incarico.
Perchè, a ricostruire i fatti, è andato in scena il secondo capitolo di una commedia, il cui primo atto è è stato proiettato una settimana fa, al secondo giro di consultazioni davanti al capo dello Stato.
Detta in maniera un po’ tranchant: è accaduto che, per la seconda volta, nell’ambito dei fitti contatti tra Salvini e Di Maio, il leader leghista ha dato ampie assicurazioni sul passo indietro di Berlusconi.
E sulla sua disponibilità ad accettare lo schema di un “appoggio esterno”.
È sulla base di questa assicurazione che Di Maio si spinge, rinnegando ogni dogma di purezza, ai limiti dell’eresia, dichiarando la sua disponibilità ad accettare i voti del Condannato, come lo chiamano nel suo mondo.
Più di così, dice col volto teso di chi si sta giocando l’ultima chances, non posso fare. È mossa goffa e disperata, propria di chi è ossessionato dall’idea di dover rinunciare a palazzo Chigi — occasione di una vita — e che produce la prevedibile reazione di Berlusconi.
È chiaro che ciò che per Di Maio è un’eresia per il Cavaliere è una umiliazione perchè non si può chiedere a un leader di sostenere un governo e nascondersi, dare i voti senza avere un riconoscimento politico, coronare il sogno della vita altrui senza avere ministri.
Ed è prevedibile, quanto comprensibile, l’altrettanto dura reazione di Giorgia Meloni che parla di un paese “ostaggio” del “disperato bisogno di Di Maio di sedere sulla poltrona di palazzo Chigi”.
Ma la rabbia di Berlusconi che filtra dalle stanza di Palazzo Grazioli, questo il punto, in serata è rivolta più all’alleato che all’avversario.
Alleato che lo ha esposto a una figuraccia, tenendolo silente nel corso dell’incontro con i giornalisti ed esponendolo all’inaccettabile richiesta del leader pentastellato. Ecco, di qui sorge una domanda per l’oggi e per il dopo, che rimbalza nei palazzi che contano: “Ma perchè Salvini ogni volta dice che ‘è fatta’ e poi lascia Di Maio col cerino in mano, addossandogli poi la responsabilità dello stallo?”.
E chissà se una risposta sta in quel che in serata dice a Isernia: “Il governo lo metto in piedi io, sennò si vota”.
Parole pronunciate in un crescendo propagandistico che occupa l’etere e la scena, con un leader che rivendica l’incarico, senza paura di “bruciarsi”, senza indicare numeri, strategia, interlocutori, anzi appena sono franati numeri, strategia e interlocutori.
Tra i frequentatori del Colle la parola magica che spiega tutto è il riferimento alle urne, più che la richiesta di un incarico, perchè, su questi basi, non si capisce come gli possa essere affidato.
La sensazione è che Salvini, protagonista di una campagna elettorale permanente, non voglia fare alcun governo. E si prepari all’opposizione di un governo qualunque esso sia fondato su asse Pd-Cinque Stelle, per poi presentarsi alle elezioni, quando sarà da leader che nel frattempo ha prosciugato il centrodestra.
Analisi per nulla irrilevanti, ora che il capo dello Stato dovrà sbrogliare la complicata matassa, perchè il mandato della Casellati è fallito.
E assieme alla certificazione del fallimento non c’è l’abbozzo di una traccia di lavoro alternativa. Perchè l’ambizioso Di Maio, nel mettere tutta la legna possibile nel forno del centrodestra, ha lasciato molto a secco quello del Pd: non un segnale degno di questo nome, non uno schema accettabile neanche per la parte più disponibile dei dem.
È evidente che non andrà a palazzo Chigi così come che Salvini gioca più all’opposizione che al governo.
Ma qui finiscono i punti fermi. E ora la palla passa, di nuovo, nelle mani del capo dello Stato.
(da “Huffingtonpost”)
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