LEGGE DI STABILITA’, UNA MANOVRA DA 35 MILIARDI CON QUALCHE FURBIZIA
AUMENTO DELLE PENSIONI MINIME, UNA PARVENZA DI REDDITO DI CITTADINANZA DOPO LE EUROPEE, RIDUZIONE LEGGERA DELLE ALIQUOTE FISCALI E DELLA SOGLIA PER ANDARE IN PENSIONE… MA BISOGNA TROVARE I SOLDI
La war room di Palazzo Chigi ha messo a punto il piano di battaglia in vista della legge di stabilità . Un piano che prevede una manovra i cui costi si aggirano intorno ai trentacinque miliardi. E che contiene, da subito, un pezzo di reddito di cittadinanza, la quota 100 sulle pensioni e i primi mattoni della flat tax.
Insieme a Giuseppe Conte (“Ci saranno tutte le misure qualificanti”, ha detto oggi il premier) si sono riuniti il ministro dell’Economia Giovanni Tria, quello degli Affari europei Paolo Savona e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti (in vece di Salvini).
Assente Luigi Di Maio, impegnato a perfezionare l’accordo sull’Ilva, sostituito da Laura Castelli, viceministro a via XX settembre.
Hanno messo a punto uno schema che prevede di far partire la misura simbolo del Movimento 5 stelle con una speso contenuta tra i 9 e i 10 miliardi (di cui poco meno di 3, come vedremo, già stanziati), l’introduzione di quota 100 per le pensioni per un ammontare di 8 miliardi, stima che si spera di ritoccare al ribasso, e un doppio fronte per aprire la strada verso la flat tax.
Da un lato l’introduzione dei regimi minimi per le partite Iva fino a 100mila euro, dall’altro un primo ritocco delle aliquote Irpef, con l’obiettivo finale di ridurle a due entro fine legislatura, per un costo totale stimato tra i 6 e i 7 miliardi.
Il tutto con una quindicina di miliardi già fissati, tra spese indifferibili e, soprattutto, sterilizzazione delle clausole di salvaguardia che scongiurino l’aumento dell’Iva.
Un quadro subordinato alla capacità di Tria da un lato a trovare le coperture adeguate, che Conte ha assicurato verranno trovate, e all’abilità politica dello stesso ministro dell’Economia ma anche del premier Conte di condurre quella che si prospetta come una complicatissima trattativa con l’Europa sui margini di flessibilità .
Con l’ex professore di Tor Vergata che, in tutto questo, continua a professare la necessità di tenere il rapporto deficit/Pil entro l’1,6%. Il vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen ha oggi da un lato detto che le parole rassicuranti di Di Maio e Di Matteo Salvini “sono stati importanti per un’audience più vasta”, ovvero per i mercati.
Dall’altro che adesso Bruxelles si aspetta “impegni che tengano fede a quanto hanno detto”. Un sentiero tortuoso. Soprattutto per Tria, atteso già domani alla prova dell’Ecofin.
Ma andiamo con ordine.
I 5 stelle hanno sempre stimato il costo del reddito di cittadinanza intorno ai 16 miliardi. Per introdurlo si sono studiati tre step in successione nel corso del 2019. Il primo riguarda quelle che gli uomini di Luigi Di Maio chiamano le “pensioni di cittadinanza”.
Un innalzamento delle minime che costerebbe intorno ai due miliardi, che sarebbe effettivo dal primo gennaio.
Il secondo, che procederà di pari passo, riguarda la riforma dei centri per l’impiego. Costerebbe intorno ai due miliardi, ma si spera di poter attingere per circa la metà a risorse comunitarie.
Il completamento del secondo step avverrà nelle previsioni tra maggio e giugno. E solo allora scatterà l’introduzione del reddito vero e proprio.
Dei dodici miliardi necessari, ne servirebbero solo sei per coprire la seconda metà dell’anno. In parte già garantiti dai quasi 3 miliardi già previsti nel 2019 per il Reddito d’inclusione varato dal governo Gentiloni.
Secondo i calcoli, per raggiungere l’intera platea dei 9 milioni di beneficiari stimati, potrebbe mancare all’appello poco più di un miliardo, rendendo così necessario ritoccare lievemente le soglie d’accesso.
Per questo è allo studio un piano di anagrafe digitale, insieme al team guidato da Diego Piacentini. Anche perchè l’erogazione del reddito non avverrà tramite conto corrente, nè si vorrebbe ricorrere alla soluzione delle card, e si sta cercando un metodo alternativo.
Definiti i contorni di massima della riforma delle pensioni. Si stima un costo di 8 miliardi, ma se ne potrebbero rosicchiare forse un paio. L’idea, infatti, è quella di fissare a 64 anni d’età l’asticella minima per poter lasciare il lavoro, restringendo così i confini dei beneficiari.
Ambizioso il progetto sulla flat tax. La Lega dà per assodata, forse già nella nota di aggiornamento al Def, l’introduzione dei regimi minimi per le partite Iva fino a 100mila euro. Ma la parte sostanziale verte sulle aliquote Irpef. Oggi gli scaglioni sono cinque. Prevedono il 23% per i redditi fino a 15mila euro, il 27% per quelli tra i 15 e i 28mila, il 38% tra i 28 e i 55mila, il 41% dai 55 ai 75mila e il 43% dei 75mila in su. Il progetto è quello di ridurle a due entro fine legislatura, una del 21% e l’altra del 33%, per un costo stimato intorno ai 15 miliardi. Ma ci si muoverà per gradini successivi. L’idea potrebbe essere o di ritoccare al ribasso quelle esistenti, o di ridurle da subito a tre. Una del 21% per i redditi da 15 a 28mila euro, una del 38% per quelli da 28 a 75mila, mantenendo fissa al 43% quella per chi eccede da tale somma. Il pacchetto per l’anno prossimo avrebbe un impatto stimato tra i 6 e i 7 miliardi.
Il confine tra il wishful thinking e la realtà passa per un complicatissimo lavoro di quadratura delle coperture interne e per un braccio di ferro dagli esiti ancora incertissimi con Bruxelles.
Ma le cartine sono state spiegate sul tavolo, e gli obiettivi fissati sulla mappa. Per il bilancio finale della battaglia si dovrà aspettare dicembre.
(da “Huffingtonpost”)
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