L’IRA DEI MEDICI CONTRO MARONI: “BASTA PROPAGANDA, CHIUSURA DEI PUNTI NASCITA INSICURI”
LETTERA DEGLI SPECIALISTI: “C’E’ IN GIOCO LA SICUREZZA DI MAMME E BAMBINI”
Sono preoccupati. “Perchè la Regione fa un passo avanti e due indietro”, dice Paolo Tagliabue, che presiede la sezione lombarda della Sin, la Società italiana di neonatologia.
E delusi, “visto che in questo modo si perdono di vista le mamme e i bambini, a favore di strumentalizzazioni che non hanno nulla di scientifico”, aggiunge Patrizia Vergani che guida la Slog, la Società lombarda di ostetricia e di ginecologia.
Sono le accuse che ginecologi e neonatologi lombardi lanciano al Pirellone: le due società hanno scritto una lettera per rivendicare la chiusura dei punti nascita sotto la soglia dei 500 parti annuali.
Strutture che, si legge nel documento, “proprio a causa dello scarso numero di parti, non possono garantire competenze adeguate in situazioni di emergenza/urgenza nè standard di qualità idonei a promuovere, sostenere e proteggere la fisiologia della nascita”.
La questione (annosa) risale al 2010. A un accordo siglato in conferenza Stato-Regioni, messo in pratica adesso, che prevede che i reparti di maternità dove ogni dodici mesi nascono meno di 500 bambini, siano chiusi.
Motivo: facendo nascere così pochi bimbi, queste strutture – sprovviste di terapie intensive pediatriche e neonatali – non hanno l’esperienza e la “manualità ” necessaria a garantire la sicurezza, soprattutto in caso di emergenza improvvisa.
Una conclusione condivisa da tutti gli esperti, anche sulla base di studi internazionali. Ma che in Lombardia – dove le maternità sotto la soglia sono sette: Angera, Gravedona, Chiavenna, Sondalo, Piario, Casal Maggiore e Broni-Stradella – ha fatto scattare la rivolta degli abitanti delle zone dove ci sono le strutture a rischio.
Ad Angera, addirittura, le mamme hanno occupato l’ospedale, chiedendo il mantenimento del reparto di maternità .
Un malcontento che, nell’anno elettorale, il Pirellone non può permettersi: di qui, la discesa in campo della giunta Maroni, che ha chiesto al ministero della Salute di avere delle deroghe in modo da tenere aperte le strutture.
L’ok è arrivato però solo per Sondalo (visto che è l’unica struttura in un’estesa zona montana) e per uno tra i due presidi di Gravedona e Chiavenna.
Palazzo Lombardia, però, non si è arreso: nei giorni scorsi ha presentato un nuovo progetto che prevede di far ruotare le equipe dei medici tra i vari presidi, in modo da far fare ai sanitari esperienza, per due o tre mesi, anche in strutture più grandi. Aumentando così la sicurezza delle strutture, tenendole tutte aperte, e accontentando i pazienti-elettori.
A questa proposta il ministero della Salute deve ancora rispondere. Nel frattempo, però, la contrarietà degli esperti è netta. Perchè la decisione di chiudere le strutture piccole “è basata su standard scientifici: non si può confondere la sicurezza con la politica”, ribadiscono Tagliabue e Vergani.
Nel loro documento, la Sin e la Slog esprimono tutta la loro “preoccupazione per una possibile riapertura di punti nascita di piccoli dimensioni che non garantiscono i principi essenziali di sicurezza e necessitano di risorse che indeboliscono le strutture più grandi già ai livelli minimi degli organici”.
Alessandra Corica
(da “La Repubblica”)
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