LITE ANCHE SUL RIMPASTO
LA LEGA PUNTA A DIFESA E INFRASTRUTTURE, IL M5S ATTACCA SU AGRICOLTURA E SCUOLA
“Ah ecco, lo vedi dove voleva andare a parare. Ma allora abbiamo anche noi le nostre richieste”. Matteo Salvini ha appena tirato una bordata a Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli in risposta alla mano tesa di Luigi Di Maio, che gli ha proposto un incontro distensivo.
“Il problema non è lui, sono alcuni ministri che dicono sempre no”, le parole del capo del Carroccio. Frana il castello di carta della crisi sventolata in faccia agli alleati, e torna prepotentemente di moda la parola rimpasto
Per i 5 stelle — che pur nelle ultime 48 ore hanno tremato non poco — il punto di caduta è evidente. Gli strascichi della “fantasmagorica” (cit. fonte molto vicina a Giuseppe Conte) giornata di ieri hanno eco per tutto il giorno. Il premier dopo un breve vertice sulle autonomie scende in sala stampa e difende l’operato della sua squadra, “come è normale che sia”, spiegano fonti di Palazzo Chigi. Con una mossa coordinata i capigruppo della Lega di Camera e Senato. Riccardo Molinari e Maurizio Romeo, escono definendosi “esterrefatti” dalle parole del capo del governo. Suscitando il suo sconcerto: “È ovvio che io difenda i ministri, nessuno escluso. Lo avrei fatto anche a ruoli invertiti”.
La mossa è chiara: passare all’incasso prima dell’estate, monetizzare il successo delle europee e rafforzarsi mentre il vento del Russiagate in camicia verde continua a soffiare forte. Conte è stato sempre chiaro con il suo vice: la disponibilità a sedersi intorno a un tavolo c’è, ma il ministro dell’Interno deve bussare alla porta di Palazzo Chigi e parlarne a quattr’occhi con lui.
Che, mutatis mutandis, è anche la posizione del Movimento 5 stelle: “Se Salvini vuole un rimpasto — il ragionamento di Di Maio — ce lo chieda, ne discutiamo e lo chiudiamo in pochi giorni, non risponderemo più a questi attacchi sterili”.
Non è passato inosservato che il ministero delle Infrastrutture sia rimasto sguarnito di esponenti del Carroccio dopo il passo indietro di Siri e Rixi.
La convinzione della war room pentastellata è che sulla Trenta ci sia una sorta di scudo del Quirinale, che non vorrebbe Interno e Difesa entrambi in mani leghiste. Anche se gli spifferi di via Bellerio oggi hanno iniziato a virare: “Il problema è la gestione della Marina e del controllo del mare, trovino uno dei loro che sia d’accordo con il Viminale, perchè è lì che si dà la linea”.
Ma sono le Infrastrutture il colpo grosso cui punta Salvini, dopo mesi di braccio di ferro sul Tav e l’affaire Gronda delle ultime ore. Al di là delle dichiarazioni di facciata, i 5 stelli vedono quella casella come principale merce di scambio. E non solo per i dubbi sull’operato di Danilo Toninelli, ma anche e soprattutto perchè le materie di competenza del ministero sono causa di scontro continuo. E perchè la realpolitik ha messo di fronte M5s alla difficoltà di mantenere tante delle promesse fatte negli anni. Cedendolo, il discorso si potrebbe ribaltare.
Ma Di Maio e i suoi, se mai si dovesse aprire un tavolo di confronto, non vi arriveranno a mani vuote.
Sanno che la Lega metterà nel mazzo anche l’Ambiente (incedibile) e la Salute (trattabile). I riflettori si sono così accesi su Scuola e Ambiente, guidati dai leghisti Bussetti e Centinaio. “Tante lamentele che riceviamo ogni giorno su quei due dicasteri — commenta un colonnello grillino — anche dagli stessi leghisti”. La crisi mai aperta è già finita, la partita a scacchi è appena iniziata. L’ombrellone può attendere.
(da “Huffingtonpost“)
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