CRISI DECLASSATA A RIMPASTO E POLTRONE
DOPO TANTO CASINO, SALVINI ORA SE LA PRENDE CON TONINELLI E TRENTA
Non si parla più di crisi, di salita al Colle, di scioglimento anticipato della Camere. Tutto rinviato. Forse.
In un attimo, la “crisi” viene declassata a rimpasto, ritocco. Un intervento chirurgico sull’esecutivo che avrebbe come unico scopo, quello di far ripartire la macchina di palazzo Chigi. Eppure la Lega continua a rumoreggiare.
I toni si sono abbassati, è vero, ma lo stato d’animo di via Bellerio resta immutato. Sono ancora infuriati, risentiti, a tratti anche delusi, perchè sotto sotto ci avevano sperato. “Basta, non vogliamo più governare con quelli lì”, insistono.
Fatto sta che il giorno dopo lo scontro più duro con tanto di crisi sbandierata ai quattro venti, Matteo Salvini prova a staccare la spina, ma non troppo.
Trascorre la giornata con i figli ma non incontra Luigi Di Maio per l’ormai famoso chiarimento. A meno di un colpo di scena, i due si vedranno non prima di lunedì. Non è dato sapere, giorno e luogo. Filtra pochissimo dalla war room di Salvini.
Tutto resta top secret: l’agenda del weekend, la tabella di marcia della prossima settimana. Tuttavia, nel giorno in cui fa il papà , trova il tempo di sferrare un attacco al vetriolo a due ministri di rito grillino. Ricomincia insomma lo stop and go che parrebbe essere la strategia preferita del ministro dell’Interno.
Scoccano le 12 quando il Capitano della Lega scolpisce un invettiva contro Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta. “C’è — avverte – un evidente e totale blocco sulle proposte, iniziative, opere, infrastrutture da parte alcuni ministri 5Stelle che fa male all’Italia”.
E ancora: “Sono inaccettabili i No e i blocchi quotidiani di opere e riforme da parte dei 5Stelle. Ieri Toninelli (con centinaia di cantieri fermi) che blocca la Gronda di Genova, che toglierebbe migliaia di auto e di tir dalle strade genovesi; oggi il ministro Trenta che propone di mettere in mare altre navi della Marina, rischiando di attrarre nuove partenze e affari per gli scafisti”.
La postilla di questo attacco rimanda alla parola rimpasto. Un rito da Prima Repubblica che entrambe le forze politiche non osano nemmeno scandire, pronunciare, perchè non appartiene al vocabolario di chi ha fatto della protesta il core business.
In Transatlantico si diffonde la voce che lo step successivo alla ritrovata pace sia un ritocco ad alcune caselle dell’esecutivo gialloverde. I bookmaker del palazzo quotano Nicola Molteni e Raffaele Volpi al posto di Toninelli e Trenta che sono le due figure mai state digerite dal Carroccio.
Nel frattempo, però, il premier Giuseppe Conte – oltre a dichiarare sibillino “che non vivacchia, ma lavora”, prende la difesa di Toninelli e Trenta.
“Un affronto”, accusa un leghista di peso. Non a caso lo spin della casa leghista è quello di sferzare il duo Toninelli-Trenta. Scendono in campo i due capigruppo a Montecitorio e palazzo Madama. Il primo, Riccardo Molinari, prende di mira Toninelli per colpire, anche, l’inquilino di palazzo Chigi: “Con il ‘no’ alla Gronda, la misura è davvero colma. Toninelli è il ministro del ‘no’ ed è incomprensibile che il premier Conte prenda le sue parti quando sa bene che il Paese ha bisogno di ripartire e non di essere bloccato per paura di sbagliare”. Mentre il secondo, Massimiliano Romeo, non solo si dice “esterrefatto” dalla presa di posizione di Conte perchè “l’azione di governo è innegabilmente frenata da incomprensibili no e continui pareri ostativi”. Ma, accusa la ministra della Difesa di aver siglato un accordo segreto con Ursula Von der Leyen, “per condizionare il voto degli europarlamentari M5S per la presidenza della Commissione Europea”.
Botte da orbi anche nel giorno della non-crisi. Di più: sull’autonomia differenziata finisce in un nulla di fatto. Ancora un altro vertice andato a vuoto, accusano i leghisti. “Ci sentiamo presi in giro. La misura è colma”, taglia corto il governatore del Veneto, Luca Zaia.
Stessi toni da parte del presidente della Lombardia, Attilio Fontana: “Abbiamo perso un anno in chiacchiere. Aspettiamo di vedere il testo definitivo ma, se le premesse sono queste, da parte mia non ci sarà alcuna disponibilità a sottoscrivere l’intesa”.
Ecco perchè anche se la crisi appare lontana, i leghisti non hanno smesso di rumoreggiare. Vogliono vedere i fatti, non le parole. D’altronde, chiosa un alto dirigente del Carroccio, “il rimpasto è solo un palliativo che porta più in là la caduta del governo. Al massimo fra un paio di mesi il giocattolo si romperà ”.
(da “Huffingtonpost”)
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