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LO STUDIOSO DI FLUSSI MATTEO VILLA: “IL CALO DEGLI SBARCHI IN ITALIA NON HA A CHE FARE CON LE POLITICHE DEL GOVERNO MELONI”

L’ANALISI DEL RICERCATORE DELL’ISPI: “IL LAVORO SPORCO LO FA LA TUNISIA CON I SUDSAHARIANI PER RAGIONI DI POLITICA INTERNA”… “IL TASSO DI RIMPATRIO E’ DEL 20%, IL CPR IN ALBANIA NON SERVE A NULLA”

Nell’ultimo anno i numeri degli sbarchi in Italia sono più che dimezzati. Secondo gli ultimi dati del Viminale, i migranti arrivati nelle coste italiane dal primo gennaio ad oggi superano di poco i 41mila, contro i 114mila del 2023. “È vero che rispetto all’anno scorso e pure al 2022, c’è stato un calo significativo. Potremmo parlare di un crollo simile a quello che c’è stato nel 2017. Ma è sempre un po’ sbagliato guardare ai numeri da inizio anno, perché i cali possono avvenire i tutte le parti dell’anno”, dice a Fanpage.it Matteo Villa, ricercatore presso l’Istituto per gli studi di Politica internazionale (Ispi).
Come possono essere letti allora questi dati?
Per capire il calo – circa il 65% – dobbiamo innanzitutto parlare dell’esplosione degli ultimi anni e del perché la flessione registrata ora è destinata a fermarsi. La stragrande maggioranza dell’aumento degli arrivi avvenuto nel 2022 e 2023 era dovuta alle persone africane subsahariane che partivano dalla Tunisia. Prima arrivavano principalmente dalla Libia. Oggi invece, i numeri del ministero dell’Interno riportano un calo del 25% degli arrivi dalla Libia, ma il crollo vero, di oltre l’80%, riguarda africani e subsahariani dalla Tunisia. Esiste però una base di arrivi che non si è spostata molto in questi anni. Parliamo, cioè, di circa 20mila tunisini e circa 40-50mila persone che arrivano dalla Libia ogni anno.
Quali sono le ragioni?
Diciamo che in questi anni abbiamo assistito a esplosioni seguite da riduzioni repentine e al tentativo dell’Europa di tenere la mano sul coperchio di una pentola a pressione, ma la pressione sta aumentando. Dal 2012 in poi il trend degli arrivi è completamente cambiato. Ogni volta che la politica se n’è accorta, ha provato a metterci una pezza ma da qualche parte qualcun altro che vuole arrivare ci riprova, com’è avvenuto prima con la Libia e poi con la Tunisia.
Negli ultimi tempi però, sembra che in molti abbiano optato per le rotta spagnole, in particolare quella per le Canarie. Secondo i dati del ministero dell’Interno, gli sbarchi nel Paese sono aumentati del 126%.
Le persone dell’Africa occidentale che non riescono ad arrivare da noi possono provare ad andare a ovest, verso le Canarie, però è molto rischioso. Bisogna fare attenzione in relazione quest’aumento con i dati italiani. Il calo registrato in Italia è molto più alto rispetto all’aumento dei migranti arrivati alle Canarie. Le due cose non sono comparabili.
In Italia Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, hanno festeggiato il trend negativo degli sbarchi come risultato del lavoro svolto sul piano dei flussi migratori. In occasione del primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva la premier ha elencato le priorità dell’approccio italiano al fenomeno, parlando di “difesa suoi confini esterni, contrasto all’immigrazione irregolare di massa e impegno per stroncare il business dei trafficanti di esseri umani. Le scelte che abbiamo preso, l’inteso lavoro diplomatico e internazionale con le Nazioni africane e gli accordi che abbiamo sottoscritto con loro – a partire da Tunisia e Libia – sono giuste e funzionano”, ha detto. È così?
Questo governo è arrivato al potere promettendo il ‘blocco navale’. Ovviamente non c’è stato perché non si poteva fare ed era una cosa assurda, improponibile e chiaramente illegale. Ciò che ha fatto il governo e in generale l’Europa, è stato cercare di scoraggiare gli arrivi, tentando di far fare agli altri il lavoro che non possiamo fare noi, sia legalmente che eticamente.
Che intende?
Tappandoci gli occhi, lasciamo che siano i paesi del Mediterraneo a fare il lavoro. Già nel 2017 Minniti è riuscito a farlo con la Libia, con milizie che trattenevano le persone anziché farle partire. Lo stesso è accaduto dal 2022 al 2024, ma se ne sta parlando molto poco ed è incredibile che nessuno se ne accorga. In Tunisia le politiche sono altrettanto brutali. Se prima era molto più facile uscire dal Paese, per cui quando qualcuno veniva catturato dalla guardia costiera tunisina e riportato indietro, rimaneva comunque libero, a partire da marzo dell’anno scorso le cose sono cambiate. Ci sono state migliaia di persone prese, portate alla frontiera con la Libia o con l’Algeria e lasciate nel deserto. Sistematicamente, ogni volta che una persona viene beccata in mare dalla guardia costiera tunisina viene riportata alla frontiera. Si tratta di una misura di dissuasione fortissima. In sostanza, l’idea dell’azione diplomatica italiana ed europea è: paghiamo gli altri perché facciano il nostro lavoro sporco. E infatti, Kais Saied ha deciso di adottare la stessa narrazione di sostituzione etnica e di paura dell’africano nero, evidente segnale di un razzismo sistemico assolutamente presente anche in Tunisia.
Dunque potremmo dire che il calo degli sbarchi è in gran parte dovuto alla linea repressiva assunta dal presidente tunisino?
Ha sicuramente funzionato molto bene. Noi pensiamo sempre che i flussi non siano bloccabili, ma in realtà non è così affatto. Se tu applichi politiche brutali la voce si sparge e quindi il flusso diventa bloccabile. Il problema è capire a che prezzo. Come politica di dissuasione ciò che il governo italiano ha fatto è cercare di scoraggiare l’attività delle ong.
Ha funzionato?
Poco. In realtà il numero delle persone che partono non dipende affatto dalla presenza o meno di una o più navi davanti alle coste. Per esempio quest’anno il numero di persone salvate dalle Ong è identico a quello dell’anno scorso, cioè 13mila. Scoraggiarle attraverso rotte vessatorie, che impongono di sbarcare non in Sicilia ma a Ravenna o a Genova sprecando carburante e lasciando le persone per 4-5 giorni sulla nave non ha alcun senso. Una politica che però, continua a essere messa in atto. Basti pensare al provvedimento di fermo di 60 giorni emesso la settimana scorsa nei confronti di Geo Barens, la nave di soccorso di Medici senza Frontiere. Non è questo a scoraggiare le partenze, ma piuttosto le azioni brutali attuate dalle milizie libiche prima e dalla Tunisia ora. La finestra di opportunità che si era aperta per i migranti si è chiusa e ora queste persone, davanti alla repressione, scappano altrove. D’altronde, da quando il governo Meloni si era insediato a ottobre 2022 fino a settembre 2023, gli sbarchi in Italia erano esplosi. Non c’è stato nessun effetto annuncio legato all’arrivo di un governo di destra. Allo stesso modo, non si può dire ‘ci è voluto un anno ma poi ce l’abbiamo fatta’, perché si è trattato di far fare il lavoro sporco agli altri, così in Libia nel 2017, come in Tunisia nel 2024. Saied steso ha raccontato di voler portare avanti politiche anti-africane, in una sorta di caccia all’immigrato che risulta brutalmente efficace. Alla fine non è così tanta la differenza tra torturare una persona e farle rischiare la morte attraversando il mare per poi ributtarla indietro, magari lasciandola nel deserto.
Ma se la situazione è così come viene descritta, perché se ne parla poco?
La cosa in effetti mi sorprende. A mio avviso il motivo per cui anche il governo ne parla poco, se non in maniera selettiva e un po’ tecnica, è che al di là dei numeri, si tratta di un argomento che può portare acqua al mulino della maggioranza ma allo stesso tempo può generare divisioni interne.
Una strategia insomma?
Sì, una buona strategia. Il tema non finisce sulle prime pagine perché la politica ne parla poco e la nostra attenzione mediatica è molto più condizionata dalla politica di quanto ci immaginiamo. Credo che Meloni voglia evitare che un alleato come Matteo Salvini possa battere sul tema o addirittura, arrogarsene il merito.
Tra le politiche intraprese dal governo Meloni in materia di migranti, c’è il protocollo siglato con l’Albania. Cosa ne pensa?
È un accordo completamente inutile. Non capisco perché Meloni l’abbia utilizzato come una sua iniziativa di bandiera dal momento che si scioglierà come neve al sole. Oltretutto penso che sia stata un po’ sfortunata perché siccome i centri non sono ancora partiti, da inizio maggio, Meloni non può arrogarsi il merito del calo. Il governo non può nemmeno dire di aver dissuaso le persone dal partire perché sanno che andrebbero in Albania. Se andiamo a vedere i numeri infatti, le persone che possono essere accolte simultaneamente in Albania dovrebbero essere circa duemila e tutte queste persone, o almeno una larga parte di queste, dovrà fare comunque tornare in Italia. Il motivo per cui questo succede è che un centro di rimpatrio, dovunque tu lo metta, in Italia o in Albania, non funziona. In primo luogo perché non è possibile rimpatriare le persone in due giorni; in secondo perché in moltissimi casi non è proprio possibile rimpatriarle. Il tasso di rimpatrio in Italia è del 20%. Verso l’Africa subsahariana è del 13% e verso alcuni Paesi, come il Gambia, è del 3-4%. Questo vuol dire che dall’80 al 95% delle persone che saranno in quei centri non verranno mai rimpatriate. È un’impresa fallimentare.
Al momento della presentazione dell’accordo con Tirana, Meloni aveva annunciato che i centri avrebbero potuto ospitare fino a 36mila persone l’anno, ma dal bando di gestione delle strutture è poi emerso che i posti disponibili sono molti meno.
Penso che più di ottomila persone l’anno non riusciranno a starci, il che, confrontato agli sbarchi dell’anno scorso, oltre 155mila, è ben poco. Oltretutto, per finire lì i migranti non dovranno essere arrivata in Italia, ma dovranno essere salvati, o comunque fermati dalla Guerra Costiera in Italia. Questo potrebbe spingere alcune persone a fare delle manovre in mare molto più pericolose per evitare di essere beccate dalla Guardia Costiera. In sostanza, non cambierà nulla. Forse inciderà sulle procedure di sbarco ma alla fine andranno fatte in Albania e a un costo maggiore. È una misura che non non alleggerirà le casse dello Stato, né agevolerà da un punto di vista logistico-diplomatico e di personale, e in più probabilmente i numeri saranno molto bassi. È strano che Meloni, che dopo esser arrivata al governo annunciando politiche distruttive ha poi adottato una linea prudente sui migranti, ignori il rischio di un progetto del genere. Un disastro che probabilmente documenteremo quando i centri verranno aperti.
(da Fanpage)

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