L’ODISSEA DI TRE RAGAZZI AFRICANI IN CERCA DI UNA CASA IN AFFITTO: “NON VOGLIAMO EXTRACOMUNITARI”
HANNO REGOLARE PERMESSO DI SOGGIORNO E SOLDI PER PAGARE, MA A COMO PREVALE IL RAZZISMO
A Como, se sei straniero, trovare casa è un’odissea.
“Pronto? Ho letto l’annuncio di un bilocale in affitto. Vorrei vederlo”. A chiamare è Olivia Piro, 67 anni, attivista di Refugees welcome, la onlus che promuove l’accoglienza in famiglia dei rifugiati. Sta cercando un appartamento in città per tre ragazzi del Senegal e del Gambia. Dall’altra parte della cornetta risponde l’impiegata dell’agenzia immobiliare. “Certo, fissiamo subito un appuntamento”. Prima di segnarlo in agenda, però, la signorina si accerta: “È per lei?”. “No, chiamo per conto di tre ragazzi africani che stanno cercando casa”.
Dopo qualche tentennamento, scatta la risposta di rito. “Mi spiace, ma il proprietario non intende affittare a extracomunitari. Arrivederci”.
Telefonate come queste, Piro racconta di averne fatte almeno una trentina. Da un mese e mezzo passa in rassegna gli annunci delle agenzie immobiliari e dei privati.
Ma ogni volta che alza il telefono per chiedere di vedere l’appartamento insieme ai tre ragazzi africani, la risposta è sempre la stessa: “Il padrone di casa affitta solo a europei”.
Ibrahima, Ousmane e Ba – 18,22 e 23 anni – sono arrivati in Italia con i barconi qualche anno fa. Scappati dalla povertà e dalle persecuzioni, hanno superato il deserto, fino alla Libia, da dove hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere le coste italiane. Il più piccolo, Ibrahima, ha lasciato il Gambia all’età di 13 anni dopo aver visto il padre e un fratello morire davanti a casa.
In Libia è rimasto prigioniero per otto mesi nei campi di detenzione fino a quando è riuscito a scappare e una famiglia libica se l’è preso a cuore e gli ha pagato il viaggio per arrivare in Italia.
Ora Ibrahima, Ousmane e Ba hanno tutti un regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Lavorano come camerieri e lavapiatti in alcuni ristoranti del centro storico. La notte la passano nei dormitori della città .
Ogni mattina, alle otto e mezzo escono vestiti di tutto punto con camicia e grembiule e si presentano al loro datore di lavoro. Per tutto il giorno fanno la spola tra la cucina e la sala per portare piatti e comande a turisti e comaschi seduti ai tavoli per il pranzo o la cena.
Lavori in regola, con un contratto. Per qualche mese hanno messo da parte i soldi e ora vogliono andare a vivere da soli e costruirsi una nuova vita.
Ancora sprovvisti di patente, cercano un alloggio a Como, da cui poter raggiungere i locali dove lavorano a piedi o in bicicletta.
Ma, per ora, nella città che un mese fa ha accolto il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, con un tifo da stadio, hanno trovato solo porte chiuse. I proprietari degli appartamenti sembrano avere messo un veto e non si riesce ad aprire un dialogo.
“Non c’è mai stata neanche la possibilità di incontrarsi. Dicono di no a priori”, denuncia l’attivista. E a nulla è valsa la garanzia di Piro: “Ho provato pure a specificare che assicuro io per loro, anche economicamente, ma non c’è stato verso”. Tra le risposte collezionate in questi mesi, ricorda, ce ne sono state diverse: “Per mandarli via, se non pagano l’affitto, ce ne vuole di tempo”; “rovinano le case”; “se ne vanno portandosi via anche i mobili”; “entrano in tre e poi vivono in dieci”.
Fino ad arrivare ad ammettere: “Per un discorso di tranquillità preferiamo di no”. Ma Piro e i volontari di Refugees welcome non si arrendono: “Non ci fermiamo, continuiamo a cercare una casa per questi ragazzi”.
E poi, scherza l’attivista, “se vinco alla lotteria compro tutte le case di Como e le riempio di persone non europee”.
(da agenzie)
Leave a Reply