LOLLOBRIGIDA PUÒ DORMIRE TRANQUILLO: PER FORTUNA LA SICCITÀ CONTINUA A COLPIRE SOLO LA SICILIA: NELL’ISOLA GLI ANIMALI NEI PASCOLI SONO COSTRETTI A BERE NELLE POZZE DI FANGO, I TURISTI FUGGONO DAI B&B RIMASTI A SECCO E NELLE CITTÀ SI VIVE CON IL RAZIONAMENTO DELL’ACQUA
GLI INVASI SONO SATURI DI FANGHIGLIA E LA RETE IDRICA È UN COLABRODO – MA LA MELONI SE NE FOTTE E IGNORA SCHIFANI: LO STATO DI EMERGENZA È STATO DICHIARATO DAL GOVERNO SOLO A MAGGIO E NELL’ISOLA ARRIVERANNO 20 MILIONI A FRONTE DEI 130 CHIESTI
Bisogna arrampicarsi fino alla diga di Rosamarina, fra trazzere scoscese e mucche in cerca di un po’ d’acqua, per capire cosa aspetta davvero i siciliani nelle prossime settimane: una grande sete. Nella parte più interna della valle del San Leonardo scorre solo un fiumiciattolo, e l’invaso che dovrebbe rifornire la provincia e un pezzo del capoluogo sembra ormai un deserto. «Sono rimasti 18 milioni di metri cubi — spiega un tecnico — in tempi normali ce ne sono 73».
L’acqua è davvero poca e per qualche giorno è stata anche piena di fango, all’azienda che si occupa del servizio idrico (l’Amap) non è rimasto che annunciare una possibile emergenza razionamento in undici quartieri di Palermo.
Ogni estate è così in Sicilia, la stagione della grande sete. In tutta l’isola. È un deserto anche la campagna attorno a Caltanissetta: «I nostri animali stanno morendo», è l’appello di Luca Cammarata, titolare di un’azienda agricola biologica. La foto delle sue capre costrette a bere in una pozza di fango è ormai il simbolo dell’ultima emergenza siciliana. Luca Cammarata chiede l’aiuto del prefetto e dell’esercito: «Non c’è altro tempo da perdere.
Prima, la rete del consorzio di bonifica riusciva a garantire una turnazione dell’acqua ogni cinque o sei giorni. Adesso, non sanno più dirci se riusciranno ad aprire i rubinetti». Gli agricoltori di Caltanissetta si stanno organizzando con le autobotti, così come gli albergatori di Agrigento.
L’unica alternativa sembrano davvero solo le autobotti private «Però i costi sono insostenibili, fino a cento euro a viaggio» dice Francesco Picarella, proprietario dell’hotel del Viale di Agrigento
Proprio nel centro storico di Agrigento sono arrivate le prime proteste di turisti che erano ospiti di B&B, rimasti senza acqua per una settimana: sono andati via, interrompendo bruscamente i soggiorni.
«Ma questa non è storia di oggi, il processo di desertificazione di certe zone della Sicilia va avanti ormai da trent’anni», prova a smorzare le polemiche l’ingegnere Gerlando Ginex, il dirigente dell’assessorato regionale dell’Energia e dei Servizi di pubblica utilità che tiene sotto controllo le 26 dighe siciliane. «In provincia di Caltanissetta e di Enna gli invasi si sono svuotati anche del 90 per cento», dice. «E non è storia di oggi», ribadisce.
Ma se questa è una storia vecchia, che si ripropone puntualmente ogni anno, perché si interviene sempre in ritardo?
E, soprattutto, perché non si previene la stagione della crisi idrica? Se lo chiede Nello Battiato, presidente della Cna Sicilia, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa: «Gli invasi sono inadeguati, anche perché saturi di fanghiglia; la rete idrica è vetusta: il 50 per cento delle risorse si perde. Eppure non si interviene, se non con provvedimenti tampone».
Il governo Meloni è intervenuto con la dichiarazione dello stato d’emergenza per la siccità in Sicilia solo a maggio, quando c’erano già le prime avvisaglie della crisi. Risultato: sono stati stanziati 20 milioni di euro. Poca cosa. La richiesta avanzata dalla giunta regionale presieduta da Renato Schifani era di 130 milioni subito e 590 nel lungo periodo. Il governatore forzista ha provato a rilanciare con l’istituzione di una “cabina di regia”, per coordinare tutti gli interventi «mai fatti in passato». Ma il vento della protesta per la grande sete cresce giorno dopo giorno.
Quei venti milioni annunciati dall’ex presidente della Regione siciliana diventato ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, serviranno appena per sistemare le cose che dovrebbero funzionare e invece non funzionano.
(da agenzie)
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