L’ULTIMA CENA CON CAMERON: GELO SUL PREMIER BRITANNICO, IMPASSE FINO A SETTEMBRE
FARAGE NON MOLLA L’INDENNITA’ DA PARLAMENTARE EUROPEO
Cena a base di quaglia, vitello, verdure e fragole. Niente ‘fish and chips’, nessun ‘pudding’ per salutare David Cameron, il premier britannico dimissionario, battuto nel referendum sulla Brexit.
All’ultima cena di consiglio europeo con il collega di Londra, l’ultima a 28, Bruxelles non riserva cortesie per colui che ha messo l’Unione in seri guai. Solo gelo per il premier di Downing Street, che però riesce ancora a imporsi e creare scompiglio.
Ai colleghi europei Cameron infatti ripete ciò che ha detto ieri a Westminster: non sarà lui a celebrare la cerimonia di addio all’Ue.
Il vecchio e malandato continente dovrà aspettare il successore il 9 settembre. E incrociare le dita.
“Prima di attivare l’articolo 50 (che nei trattati europei regola l’uscita di uno Stato dall’Ue, ndr.) dobbiamo determinare il tipo di relazione che vogliamo con l’Ue”, ha spiegato Cameron prima di venire a Bruxelles.
“E questa decisione spetterà al prossimo primo ministro e capo di gabinetto”, che verrà indicato dai Tories il 9 settembre. Ancora altri due mesi.
A Bruxelles cadono nel vuoto tutti gli appelli a fare presto. Anche la risoluzione di Socialisti, Popolari, Liberali e Verdi votata oggi dall’Europarlamento non trova immediata applicazione.
Del resto, la scadenza di settembre era stata decisa già ieri nel summit a tre tra Matteo Renzi, Francois Hollande e Angela Merkel a Berlino.
E’ stata la Cancelliera a proporla, facendosi portavoce degli interessi di quegli Stati (la stessa Germania, ma anche Olanda, Lettonia, Danimarca) più legati alla Gran Bretagna a livello commerciale e dunque interessati ad avere il tempo per ripensare il rapporto con Londra.
Renzi e Hollande hanno acconsentito, in cambio dell’apertura di una nuova fase proprio sull’onda della Brexit: più flessibilità , meno austerità per salvare l’Europa.
Il punto però è che questi due mesi estivi — sperando che siano solo due – vanno gestiti.
All’ultima cena dei 28, risuonano forti le parole di Mario Draghi, invitato speciale in questa sessione di Consiglio post-Brexit. Il governatore della Bce invita i leader a stare “uniti”, a “lavorare insieme”, altrimenti, dice, all’esterno “si potrebbe avere la percezione che la Ue è ingovernabile”. E ne andrebbe della credibilità delle istituzioni finanziarie, dei titoli Stato, delle banche.
L’Ue dunque è sotto tiro anche dopo la Brexit, dopo aver dedicato mesi per concedere a Cameron tutto il possibile per convincere Londra a restare: invano.
A Palazzo Justus Lipsius nessuno sta tranquillo, malgrado le dichiarazioni ufficiali (“Non ci sono rischi per i risparmiatori”, dice per esempio Matteo Renzi). Ma nessuno è tranquillo nemmeno sulla data di settembre. Per varie ragioni.
Primo perchè si teme il peggio, si teme anche una crisi di governo a Londra.
L’alleato di Cameron, il liberale Nick Clegg, ha posto il problema di nuove elezioni se cambia il premier.
E poi perchè dalla City arrivano segnali contrastanti, segnali di pentimento quasi. Oggi Jeremy Hunt, ministro alla Sanità del governo Cameron, ha scritto al Telegraph per porre le condizioni di una retromarcia sulla Brexit: nuovo referendum sull’addio all’Ue nel caso in cui si riuscisse a chiudere un accordo con Bruxelles sulle frontiere. Come ad ammettere che l’immigrazione è stato l’unico motivo vero di dissidio con l’Ue, l’unico motore di una macchina referendaria rivelatasi nefasta, evidentemente.
Proprio di immigrazione, anzi del piano italiano sui flussi dall’Africa (il migration compact), avrebbe dovuto occuparsi questo Consiglo Europeo.
Ma la Brexit si è mangiata quasi tutta la discussione, a parte l’approvazione della bozza finale che dedica un intero paragrafo al Mediterraneo, ma sottolinea anche che in questa area “i flussi di migranti soprattutto economici si mantengono allo stesso livello dello scorso anno”.
Per l’aumento dei Fondi (Feis) si rimanda poi a dopo l’estate.
Quando anche i 27 si incontreranno informalmente a Bratislava per fare il punto sul dopo Cameron. Senza alcuna garanzia, almeno per ora.
Su Palazzo Justus Lipsius cala il sipario di una giornata carica di tensioni e scaricabarile.
Ci sono le voci di chi vuole le dimissioni del presidente della Commissione Jean Claude Juncker (il ministro degli esteri polacco), quelle di chi fa quadrato intorno al lussemburghese (Merkel ma anche Renzi) anche per non aprire un ennesima questione, ce ne sono già tante. E Juncker che si ‘sfoga’ con l’eurodeputato britannico Nigel Farage, il leader dell’Ukip, primo sostenitore della Brexit, il padrino di tutto questo caos. “Sono sorpreso di vederla ancora qui, ma lei non era per la Brexit?”, gli dice il presidente della Commissione nella sessione straordinaria dell’Europarlamento. Lui abbozza, non si dimette, continua a prendere l’indennità da parlamentare Ue e a sera fa pure una ‘sfilata’ in sala stampa al Consiglio Ue.
Se la prende con i compagni di gruppo del M5s: “Vogliono cambiare l’Europa da dentro? Auguri…”.
(da “Huffingtonpost”)
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