MANOVRA: ALLA DISPERATA RICERCA DI COPERTURE
CONTE RICHIAMA TRIA D’URGENZA, RIUNIONE FIUME PER TROVARE I MILIARDI RICHIESTI, LA FARSA NON E’ ANCORA FINITA… LA CRESCITA SI ABBASSA ALL’1%, ALTRA AMMISSIONE DI COLPEVOLEZZA: LA MANOVRA NON PORTERA’ CRESCITA
Al Casale San Pio V, sede di quella Link Campus University che ha allevato esponenti di spicco dei 5 Stelle, come la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, era tutto pronto per l’arrivo di Giovanni Tria.
All’ingresso un lungo tappeto rosso, contornato da una doppia scia di fiaccole poggiate per terra. Atmosfera natalizia, con uno scintillante albero in vista.
Il fondatore, Vincenzo Scotti, una vita ai vertici della Dc e un’esperienza da sottosegretario nel governo Berlusconi IV, sulla porta ad accogliere gli ospiti per l’evento in programma: la presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa.
Sarebbe probabilmente passata come la serata del ministro dell’Economia nella fucina di quei pentastellati che ripetutamente l’hanno attaccato, mettendo in discussione il primato della tecnica sulla politica anche a via XX settembre.
Tria è in macchina, a qualche minuto dall’università , ma non giungerà a destinazione. Squilla il telefono: è il premier Giuseppe Conte.
La macchina fa inversione e si dirige precipitosamente verso palazzo Chigi per un incontro a due – insieme ai tecnici del Mef – sulla manovra.
Da Bruxelles sono arrivati segnali tutt’altro che positivi sullo schema concordato al vertice con Luigi Di Maio e Matteo Salvini. La situazione è precipitata: è ancora caccia alle risorse che mancano. E la presentazione alla Link Campus inizia e va avanti senza il ministro.
Quando il titolare del Tesoro arriva a palazzo Chigi si ritrova di fronte un lavoro che è in alto mare, se non sostanzialmente da rifare.
Perchè il documento inviato stamattina proprio da Tria alla Commissione europea non è servito.
Bruxelles non deciderà mercoledì sulla procedura d’infrazione, ma poco cambia perchè pesa di più il messaggio che la stessa Commissione ha recapitato nel pomeriggio a Conte: se la legge di bilancio non cambia ancora allora la procedura d’infrazione si farà più vicina.
L’ottimismo sbandierato da Di Maio e Salvini a colpi di tweet e dichiarazioni Facebook a partire dall’una della scorsa notte per l’accordo trovato a Roma si trasforma in un grande silenzio.
I due vicepremier si tengono lontani dalle nuove fibrillazioni che sono tornate a farsi vive sull’asse con Bruxelles. Anche perchè – è il ragionamento ricostruito da alcune fonti di governo – i due hanno già dato la concessione massima, facendo scendere il deficit dal 2,4% al 2,04%, che a sua volta ha implicato un prosciugamento complessivo di 4 miliardi per il reddito di cittadinanza e la quota 100. Di più non si può e non si vuole fare.
Per loro lo schema inviato è quello, anche nel punto più delicato e che Bruxelles ritira fuori dopo aver letto le carte: i circa 3 miliardi da sottrarre al deficit strutturale chiesti proprio dall’Europa per indirizzare la trattativa verso un esito positivo.
La patata bollente è nelle mani di Conte e Tria. Una lunga riunione, durata oltre tre ore, per provare a trovare un nuovo punto di caduta. Il cantiere si riapre e implica una ricostruzione imponente perchè innanzitutto va a toccare uno dei pilastri della vecchia manovra, quella che nel frattempo si è arenata in Senato in attesa dell’esito della trattativa: la stima del Pil per il 2019.
Per il governo doveva essere all’1,5% e non è un dato esclusivamente numerico. Perchè quando la legge di bilancio è nata – e fino ad oggi – la convinzione sostenuta è sempre stata quella che la chiave di volta era proprio la super crescita.
Nonostante le previsioni dei principali enti e organizzazioni nazionali e internazionali, intorno all’1%, il governo gialloverde ha sempre tirato dritto su questo punto.
L’ha difeso Conte, l’hanno difeso Di Maio e Salvini, e anche Tria. È la teoria della crescita ipertrofica, che secondo l’esecutivo sarà sostenuta dal reddito e dalla quota 100, capaci di riattivare un ciclo economico non esaltante.
Tutto da coniugare con i verbi al passato perchè ora si tratta sull’1 per cento. Lo chiede, anzi lo pretende Bruxelles, e anche il governo italiano si sarebbe convinto a dare un segnale in questo senso.
Se alla fine sarà così si registrerà la seconda retromarcia imponente sulla manovra, dopo il deficit al 2,4% per tre anni, celebrato da Di Maio sul balcone di palazzo Chigi il 27 settembre, e poi fatto scendere fino al 2,04 per cento. Il nuovo schema sarebbe quindi quello di un deficit al 2,04% e un Pil all’1% per il 2019.
La rivisitazione al ribasso della crescita avrebbe due effetti contrastanti.
Da una parte al rialzo (meno crescita, più gettito fiscale, più deficit a parità di spese). Dall’altro ribassa il deficit strutturale (minore crescita, maggiore deficit nominale consentito – appunto il 2,04% indicato dal governo – che però non entra nel computo deficit strutturale).
E dato che il nodo della trattativa è il deficit strutturale, ecco spiegato il motivo per cui si è messo sul piatto anche il Pil all’1 per cento.
Non porterebbe, quindi, a sballare in eccesso il rapporto deficit-Pil anche perchè – viene spiegato – contemporaneamente si potrebbe ridurre il Pil tendenziale, l’elemento che viene preso in considerazione per calcolare il deficit.
In altre parole il nuovo schema reggerebbe. Solo che politicamente vale molto perchè sarebbe appunto un dietrofront rispetto non solo a un numero, ma a un’idea politica di manovra, quella espansiva che poggia le proprie basi sulla super crescita.
L’intervento sul Pil è legato a un’altra richiesta che arriva da Bruxelles e cioè quella di avere rassicurazioni autentiche sui circa 3 miliardi da mettere sul piatto per tagliare il deficit strutturale.
Lo schema proposto dal governo italiano – che poggia su introiti da dismissioni immobiliari, tagli aggiuntivi nelle pieghe del bilancio e il rinvio di alcune agevolazioni fiscali per le grandi imprese – non ha convinto i tecnici della Commissione.
C’è il rischio che queste risorse non vengano ritenute valide. Si affaccia una nuova caccia al tesoro. Di Maio e Salvini non vogliono figurare tra i partecipanti.
Scivola così una nuova notte tra i Palazzi romani, con la nuova manovra che ancora non c’è. A meno di due settimane da un rischio che sul fronte della credibilità pesa moltissimo: l’esercizio di provvisorio di bilancio. Di fatto la certificazione dell’incapacità di costruire un disegno economico per il Paese.
(da “Huffingtonpost”)
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