“MARONI SARA’ UN LEADER DI TRANSIZIONE, E’ FINITA L’EGEMONIA LOMBARDA”
ALESSANDRO CAMPI, DOCENTE DI STORIA DEL PENSIERO POLITICO: “DOPO LA BUFERA HANNO BISOGNO DI APPARIRE UNITI”
“Maroni sarà un leader di transizione e Bossi è meglio che si metta da parte se vuole lasciare un buon ricordo di sè».
Alessandro Campi, docente di storia del pensiero politico all’Università di Perugia, è convinto che il nuovo segretario della Lega non ha il carisma e la forza del Senatur.
L’ex ministro dell’Interno dovrà tener conto del nuovo equilibrio territoriale.
Professore, sta dicendo che prima o poi Zaia o Tosi faranno le scarpe a Maroni e il Carroccio sarà a trazione veneta?
«Non ci sarà più una Lega come l’abbiamo conosciuta finora, con un capo che faceva il bello e il cattivo tempo. Quella di Maroni sarà una segretaria che dovrà avere carattere collegiale più di quanto si immagini. Ora questo partito ha bisogno di un unanimismo ipocrita. Poi si faranno avanti gli Zaia, i Tosi che vogliono far apparire Maroni il nuovo Bossi ma è operazione di chirurgia plastica. La Lega ha la necessità vitale di compattarsi attorno a un nuovo leader perchè viene fuori da periodo difficile, ma l’egemonia lombarda è finita».
Intanto Maroni dovrà mettere a fuoco una linea politica. Crede che la Lega si ritirerà al Nord e non parteciperà alle elezioni politiche?
«La Lega esce da una brutta vicenda brutta giudiziaria ma soprattutto politica. Più che lo scandalo il Carroccio viene dal fallimento dell’esperienza di governo: aveva delle ottime carte da giocare ma ha perso la partita. Ha portato a casa molto poco, nè il federalismo nè la diminuzione delle tasse. Ora potrebbero riscoprire posizioni ultra indipendentiste con un rapporto privilegiato col territorio al punto che non si candida a livello nazionale. Non credo però che ciò convenga. Per un partito come la Lega è più opportuno cavalcare la battaglia anti-europeista, anti-statalista, anti-banche, anti-tasse. Da questo punto di vista il Carroccio è più attrezzato perchè fa parte del suo bagaglio ideologico che risale a Miglio, alla radice anarcoide liberista. Una sorta di Tea Party americano, una posizione che poi era il cavallo di battaglia di Berlusconi delle origini. Non a caso il Cavaliere e Bossi erano in sintonia, al di là dei rapporti personali, mentre Alfano è più orientato verso posizioni centriste e moderate e su una linea che è quella del Ppe. Ecco perchè non penso che Pdl e Lega potranno ritrovare un’alleanza».
Lei considera chiusa anche la stagione dell’intesa Pdl-Lega?
«La Lega in questo momento non ha il problema di trovare un’alleanza ma di crearsi una nuova verginità politica, di superare uno scandalo che ha toccato la sua stessa identità : incarnavano un’ identità luterana, ma è scivolata nel classico familismo italiano».
Cosa ha lasciato il leghismo bossiano alla politica italiana?
«Ha vinto culturalmente, e non lo dico in positivo, sul piano del linguaggio e nello stile di lotta politica: brutale e semplificatorio. All’inizio invece sembrava immediatezza. Con l’anti-italianismo ha incuneato il germe della divisione territoriale, dell’egoismo degli interessi tra nord e sud. Con il federalismo avrebbe potuto avere il merito di una diversa articolazione dell’Italia, ma non ha saputo giocare questa formidabile carta».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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