MATTEO SALVINI HA TEMPO PER TUTTO TRANNE CHE PER LAVORARE AL MINISTERO
COME IN PASSATO AL MINISTERO NON C’E’ MAI
Fiere, anniversari, inaugurazioni. Il leader della Lega trova il modo per fare tutto, anche per trovare Verdini in carcere. Ma alle Infrastrutture non si fa vedere. E infatti le opere non partono e i soldi mancano
Settembre del 2023: la notizia passa inosservata. A chi può interessare l’ennesima nomina in una piccola società pubblica, per giunta sconosciuta ai più? Che il ministero dell’Economia abbia nominato amministratore unico di Ram – Rete Autostrade Mediterranee un certo Davide Bordoni merita solo qualche riga sull’Ansa. Eppure la notizia, a dispetto del ruolo superfluo della società in questione, creata nel 2004 dal governo di Silvio Berlusconi per l’iniziativa poi rivelatasi fallimentare di far viaggiare i tir sui traghetti, non è affatto marginale.
Purtroppo in Italia è normale che i partiti occupino le poltrone pubbliche senza ritegno. Anche quando sono pressoché inutili. Ma questo è davvero un caso limite. Perché appena qualche giorno prima Davide Bordoni ha rilevato Claudio Durigon nell’incarico di segretario regionale nel Lazio della Lega. Ossia il partito di cui è numero due il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che in quanto titolare delle azioni l’ha nominato amministratore di Ram, società in house del ministero delle Infrastrutture del numero uno del partito: Matteo Salvini.
Già, ma perché un funzionario di partito viene collocato dai capi del partito al vertice di una società di Stato, neanche fossimo l’Unione Sovietica?
I maligni sussurrano che è per fargli pagare lo stipendio (120 mila euro lordi l’anno) dai contribuenti. Forse. Ma il piano è sicuramente più raffinato. Salvini si presenta nella sede di Ram poche ore dopo l’insediamento di Bordoni per dire ai 37 dipendenti che la loro società con un giro d’affari di 5 milioni l’anno è assolutamente strategica. E dice il vero. Ram festeggerà i 20 anni di vita sponsorizzando «L’Italia dei sì 2023-2032», il tour del ministro Salvini per presentare le opere pubbliche nelle Regioni dove si vota. Anche quello assolutamente strategico. Il tour parte da Trento e Bolzano alla vigilia delle elezioni provinciali. Poi passa a Cagliari. Poi a Pescara. E poi a Potenza. Con Salvini che promette alla Basilicata 2,8 miliardi di opere pubbliche.
Il bello è che, nella politica italiana ormai narcotizzata al punto da riuscire a digerire qualunque arbitrio, non c’è chi solleva il caso. Il Fatto Quotidiano titola: «Salvini si fa la campagna elettorale a spese nostre», ma senza suscitare una sollevazione popolare.
Così come nel governo o nella maggioranza nessuno batte ciglio quando Salvini va al carcere di Sollicciano a trovare il quasi-suocero Denis Verdini arrestato il giorno prima perché ripetutamente evaso dai domiciliari. E Verdini è indagato, assieme al figlio Tommaso, per presunta corruzione all’Anas, società pubblica per le strade vigilata dal ministero di Salvini.
Nella coalizione di Giorgia Meloni si registra appena qualche mormorio di incredibile vacuità in risposta all’ultima sbalorditiva uscita di Salvini a proposito della farsa elettorale in Russia («Quando un popolo vota ha sempre ragione»).
Continuando così a fare finta che in un governo impegnato a sostenere l’Ucraina con tutta l’Unione europea non rappresenti un caso la presenza di un vicepremier leader di un partito legato a quello di Vladimir Putin, Russia Unita, grazie a un accordo siglato a Mosca nel 2017. Accordo a quanto pare tacitamente rinnovato nel 2022, poco dopo l’invasione russa, e del quale non si sa neppure se sia ancora in vigore: tutte le richieste di chiarimenti rimangono ancora inevase e hanno originato una mozione di sfiducia individuale delle opposizioni.
Un caso clamoroso anche per le implicazioni sulla sicurezza nazionale, che però non sembra causare particolari imbarazzi nel governo di Giorgia Meloni.
Dove Salvini, peraltro, è sempre di più un ministro che non c’è. Torna in mente cosa disse nel 2019 Carlo Calenda a Luigi Di Maio che ne aveva preso il posto al ministero dello Sviluppo economico: «Questo è un lavoro serio. Se credevi di fare 18 lavori insieme, senza averne mai fatto uno prima, finisce che li fai male tutti. In ufficio non ci stai mai».
I record di assenteismo ministeriale, Salvini li ha battuti davvero tutti. Dal 14 novembre 2022 all’11 marzo 2024 ha girato come una trottola per l’Italia, tagliando nastri o partecipando a inaugurazioni le più varie. Ne abbiamo contate 50. Una in media ogni 10 giorni, ma anche due in una sola giornata. È stato avvistato pure al Vinitaly, al Salone del Mobile, all’Esposizione Universale delle 2 ruote, alla Fiera del Levante. Spesso con il caschetto in testa. Una volta, il primo marzo di quest’anno, ha inaugurato un cantiere a Lecco guidando una ruspa.
Ma non si è risparmiato neppure le celebrazioni dell’anniversario della rivoluzione cinese, approfittandone per invitare l’ambasciatore all’inaugurazione dei lavori del Ponte sullo Stretto di Messina. Perché ogni appuntamento pubblico, ogni taglio di nastro, ogni colpo di piccone non è mai fine a sé stesso. Deve servire a un messaggio politico.
La modalità Salvini di lavoro ministeriale, in realtà, non è mai cambiata. Fabio Tonacci raccontò su Repubblica che nei primi quattro mesi e mezzo del 2019 il leader della Lega aveva passato al Viminale soltanto 17 giornate piene su 112. Dedicando le altre 95 «a 211 eventi fra comizi elettorali e incontri non istituzionali». C’erano in ballo le elezioni europee, proprio come adesso. Quindi la storia si ripete.
Allora al Viminale c’era il fido capo di Gabinetto Matteo Piantedosi e il ministero lo mandava avanti lui. Oggi alle Infrastrutture c’è il viceministro leghista Edoardo Rixi. E il ministero lo manda avanti lui. Il capo ha un sacco di altre cose da fare. Anche andare a un convegno sul trasporto pubblico organizzato da Doppelmayr, gruppo austriaco che produce funivie, propugnando la «pace edilizia», cioè un condono mignon.
Anche la presentazione del libro del ministro dell’Istruzione ora salviniano Giuseppe Valditara: occasione per proclamarsi contro il numero chiuso a Medicina, vergognarsi «come papà» per la mancanza di insegnanti di sostegno e scagliarsi contro «l’inaccettabile chiusura delle scuole per il Ramadan».
Al massimo, può prendere a cuore le ansie degli automobilisti che non vogliono i limiti dei 30 all’ora in città né gli autovelox. Nonché quelle dei tassisti allergici alla concorrenza, imponendo un decreto con clausole capestro per i cosiddetti Ncc. Ma con l’ariaccia che tira per le prossime Europee, tutto fa brodo.
Quando però il ministro non sta sul pezzo, i risultati sono quelli che sono. Come abbiamo già documentato, opere importanti del Pnrr già appaltate non partono. Mentre le imprese aspettano da mesi i soldi del caro materiali per finire i lavori: necessitano di 1,6 miliardi, sono disponibili 524 milioni. Il resto? Boh… Invece i denari per il Ponte sullo Stretto di Messina, quelli sì, sono stati già stanziati con la Finanziaria del 2024.
E c’è chi ancora si stupisce. Mentre stava nascendo il governo di Mario Draghi, a Otto e Mezzo Lilli Gruber chiese a Salvini: «Lei farebbe il ministro delle Infrastrutture?». E lui: «No, no, per carità di Dio, meglio di Toninelli non potrei mai fare…». Ridacchiava; invece c’è riuscito, eccome.
Sergio Rizzo
(da lespresso.it)
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