MELONI CHIEDE AFFARI ECONOMICI E LA CONCORRENZA. MA SI TRATTA DI DUE DELEGHE DIFFICILMENTE ASSEGNABILI ALL’ITALIA. PER QUEI “DICASTERI” SERVONO UN EX PREMIER, UN EX MINISTRO DELL’ECONOMIA O UN SUPER-TECNICO
L’ITALIA HA SCELTO DI STARE ALL’OPPOSIZIONE NELL’UE E BRUXELLES NON CONCEDERÀ A ROMA PIÙ DI QUEL LE SPETTA: IL PORTAFOGLIO NON SARÀ DA “SERIE B” MA NEMMENO DA “SCUDETTO”. L’IPOTESI: FONDI DI COESIONE, BILANCIO O MEDITERRANEO E MIGRANTI”
Chi sono gli “stakeholders”, ossia quei soggetti che in italiano vengono chiamati “portatori di interessi”, cui si riferisce la Commissione europea nel Rapporto sullo Stato di Diritto? La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ha ieri affermato che tra di loro ci sarebbero anche alcuni giornali italiani, compresa Repubblica. E che sarebbero stati consultati dai tecnici di Palazzo Berlaymont soprattutto nella parte del report riguardante il ”Pluralismo e la libertà dei Media”. Ma è così?
Per capirlo basta leggere il documento della Commissione e verificare punto per punto i rinvii alle “fonti” presenti in ogni pagina e a giustificazione di ogni commento. Le note del Rapporto sono illuminanti da questo punto di vista. Eppure, anche seguendo ogni punto in calce, non si coglie alcun riferimento a quotidiani o organi di informazione del nostro Paese. Ma a soggetti “terzi”, organizzazioni sindacali, istituti di ricerca italiani, Autorità di Garanzia e – a sorpresa – la presidenza del consiglio con diversi ministeri.
Ecco gli “stakeholders” citati dalla Commissione Ue: Agcom (l’Autorità italiana garante per le comunicazioni), Eurobarometro (l’istituto Ue per i sondaggi), Parlamento europeo, Istituto Reuters, Osservatorio del Pluralismo dei Media, Fnsi (Federazione nazionale della Stampa), Ordine dei giornalisti, Civil Liberties Union for Europe (Ong per diritti civili), Ossigeno per l’informazione, Federazione europea dei giornalisti, Usigrai (Sindacato dei giornalisti Rai), Governo italiano, Ministero dell’Economia (guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti), Ministero delle Imprese e del Made in Italy (guidato dall’Fdi Adolfo Urso), Presidenza del Consiglio (premier Giorgia Meloni), Ministero della Giustizia (guidato da Carlo Nordio), Ministero degli Interni (guidato da Matteo Piantedosi), Consiglio d’Europa e infine da Media Freedom Rapid Response (Organizzazione che monitora la liberta di stampa in Europa). Quindi nessun quotidiano italiano o straniero.
Ma tanti esponenti della squadra meloniana. Anche per questo la lettera spedita da Giorgia Meloni a Ursula von der Leyen è stata letta dalla presidente della Commissione con un certo stupore e anche con una dose di fastidio. Il metodo seguito da palazzo Chigi, infatti, viene considerato a dir poco irrituale. Soprattutto è giudicato come un modo per non rispondere ai quesiti e ai problemi posti dal Rapporto. […] In effetti la premier e l’esecutivo italiano fino ad ora non hanno replicato nel merito. Non solo sulla libertà di stampa ma anche su tutto il resto: dalla riforma Nordio della giustizia alle modifiche alla Costituzione sottoposte all’esame del Parlamento e che introdurrebbero il cosiddetto premierato.
L’effetto, però, si sta riflettendo sui rapporti tra Italia e Unione europea. Le recenti scelte compiute da Fratelli d’Italia in occasione del voto a Strasburgo per la rielezione di Von der leyen stanno provocando ripercussioni e strascichi che l’esecutivo di Roma non ha ancora afferrato pienamente. La presidente della Commissione, infatti, non ha affatto preso bene il “no” pronunciato da Meloni nei suoi confronti. Lo valuta alla stregua di un tradimento dopo tutte le “concessioni” fatte al centrodestra italiano negli ultimi diciotto mesi. Compreso il rinvio proprio della pubblicazione del Rapporto sullo Stato di Diritto.
Quindi se i lamenti a questo riguardo di Meloni vengono sostanzialmente ignorati, le trattative sulla formazione della prossima Commissione rischiano di essere segnate negativamente per il nostro Paese. La presidente del Consiglio, che ancora non ha inviato la designazione per il commissario italiano (ha tempo fino al 31 agosto, in pole position Raffaele Fitto), continua a chiedere un portafoglio economico per il suo prescelto. A partire dagli Affari Economici e dalla Concorrenza.
Ma si tratta di due deleghe difficilmente assegnabili all’Italia. Un concetto che Ursula ha già illustrato con schiettezza a Meloni. Per quei due “dicasteri” servono candidature con un profilo molto alto: un ex premier, un ex ministro dell’Economia o un super-tecnico. Ma al di là di questi aspetti, c’è un nodo che non si può sciogliere, almeno non adesso: l’Italia ha scelto di stare all’opposizione nell’Unione.
(da Repubblica)
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