MELONI, DUE ANNI DI SCANDALI E CONFLITTI TRA ALLEATI
VOLEVA “FARE LA STORIA” E RIFARE L’ITALIA, INVECE VIVACCHIA E DIFFIDA DEI SUOI… E ALLA TERZA MANOVRA SENZA SOLDI ED IDEE RISCHIA ANCHE LEI
Palazzo Chigi come un fortino assediato. E lei, da sola, rinchiusa nel suo bunker. Sospettosa, stanca, a volte furiosa. Con gli alleati e i fedelissimi di un tempo. Di cui ormai non si fida più. Uno sceneggiatore scriverebbe così il copione dei primi due anni del governo di Giorgia Meloni. Settecentotrenta giorni passati, in buona parte, in difesa. Dai suoi ministri gaffeur che, se potesse, cambierebbe il prima possibile ai “fratelli” d’Italia che, a suo dire, non hanno “capito la responsabilità di governare”. Quelli che, per utilizzare il suo linguaggio nelle chat di partito, sono “infami” che prima o poi la costringeranno a “mollare”. E quindi: c’è l’ex cognato “Lollo” che fa fermare un treno a Ciampino, il presidente del Senato Ignazio La Russa che non tiene mai la bocca chiusa, Guido Crosetto che denuncia complotti dei Servizi, Sangiuliano costretto a dimettersi per una (non) consulenza all’amante fino a Daniela Santanchè, in bilico per due indagini per falso in bilancio e truffa. Per non parlare di Sgarbi, Montaruli (entrambi silurati), il caso Delmastro-Donzelli e la new entry Giuli, che si è fatto notare per supercazzole e un repulisti al ministero non gradito a Chigi.
Gli alleati, Salvini e Tajani, non sono da meno. Il leghista prova a coprire la sua destra rubandole alleati ed estremisti: da Vannacci a Orban, ormai il “patriota” è lui. Il ministro degli Esteri invece ha intrapreso la strada del centrista piantagrane: Ius Scholae, carceri, banche. Ma non è lui il protagonista: dietro Tajani c’è l’ombra dei Berlusconi, ormai in rotta col governo e con ambizioni politiche. Per arrivare a fine legislatura Meloni ha scommesso tutto sulle riforme: premierato, autonomia e separazione delle carriere. Se anche una di queste verrà meno, il castello di carte crollerà. Sperando, nel frattempo, che i consensi, ancora alti, non inizino a scendere dopo la terza legge di Bilancio senza una lira. Prima o poi qualcuno potrebbe accorgersene.
Esteri Nessuna iniziativa, solo fedele esecutrice di politiche Usa
Dice Giorgia: “Abbiamo ridato all’Italia il posto che le spetta nel mondo”. Le è bastato un vertice G7 ben organizzato per una sentenza così roboante. In realtà Meloni non fa altro che gestire il ruolo che l’Italia ha già: fedele esecutrice della politica estera Usa, scarsa iniziativa in Europa, poca o nulla incidenza nel resto del mondo. Il colpo che le è riuscito, come a tutti i presidenti da De Gasperi in poi, è stato farsi benvolere da Joe Biden. Poi, il copione è stato sempre lo stesso: nessuna iniziativa sull’Ucraina, sul Medioriente, sceneggiata sulla Cina, dove gli strali contro il Memorandum di Conte sono stati sostituiti da una Partnership strategica. In politica estera l’Italia resta un attore muto, nonostante le potenzialità nel Mediterraneo. Dove l’unica iniziativa è stata quella di firmare accordi di rimpatrio con regimi come quello di Tunisi. Mentre il piano Mattei è soprattutto una patina ideologica. Poca roba.
Economia Tagli e condoni, si torna alla stagione dell’asfissia fiscale
“Stiamo con i mercati rionali, non con quelli finanziari”, diceva nel 2017. Era la poesia dell’opposizione. Nella prosa di governo Meloni ha riportato l’Italia nella stagione dell’austerità già sperimentata dopo il 2011, interrotta solo dal Covid; ha accettato il nuovo Patto di stabilità impegnandosi a una stretta fiscale da 13 miliardi l’anno fino al 2031 (in manovra ci sono tagli per 7 miliardi ai ministeri e 5 a Comuni e Regioni). Da due anni la politica economica si riduce, in sostanza, alla proroga del taglio del cuneo fiscale (in buona parte ereditato da Draghi) e del mini taglio Irpef. Aumenti miseri alla sanità, sulle pensioni inasprita la Fornero, sul fisco una dozzina di sanatorie, uno scudo penale, meno sanzioni a chi evade e il mega condono del concordato biennale alle partite Iva. Mentre la crescita langue l’immagine del disarmo resterà la tassa su banche e assicurazioni trasformata in un prestito temporaneo.
Giustizia La rivincita dell’impunità, meno reati e bavaglio ai cronisti
Riforme della Giustizia sotto il segno dell’impunità: cancellazione dell’abuso d’ufficio e svuotamento del traffico d’influenze; interrogativo preventivo a chi è a rischio arresto: già trafficanti a piede libero e testimoni degli “arrestandi” minacciati. Sono stati cancellati dall’elenco dei reati ostativi ai benefici carcerari i reati corruttivi, persino associativi. Inoltre, l’ostativo non più assoluto ma relativo (per le pronunce della Consulta) permette a mafiosi detenuti (non al 41 bis) di poter accedere ai benefici anche se non collaborano e con meno paletti rispetto ai pentiti: per loro né ravvedimento né verifica su eventuali menzogne in merito al patrimonio. Bavaglio extralarge per i giornalisti: vietato pubblicare intercettazioni e ordinanze di custodia cautelare, maggioranza e renziani vogliono dal governo anche la censura di molti altri atti pubblici e multe salatissime non solo per i cronisti ma anche per gli editori.
Infrastrutture 15 mld al ponte mentre le ferrovie sono nel caos
La battuta sul governo che dimostra di non essere fascista facendo arrivare in ritardo i treni illumina il disastro a cui si assiste da un paio d’anni. Sotto la spinta di Matteo Salvini il governo ha resuscitato il ponte sullo Stretto di Messina, un regalo osceno al costruttore Webuild, monopolista degli appalti pubblici, censurato pure dall’Anac. L’esecutivo rischia di passare alla storia per aver impegnato 15 miliardi in una maxi opera irrealizzabile mentre fatica rimborsare gli alluvionati dell’Emilia-Romagna e il sistema ferroviario è nel caos e non si vede una soluzione. Salvini s’è ridotto a incolpare in tv l’errore (un “chiodo”) di un singolo per l’ennesima giornata di ritardi e paralisi in mezza Italia. La realtà è quella di una rete ingolfata con i ritardi ormai quotidiani, mentre il Pnrr impegna miliardi in nuove tratte e la manutenzione di Rfi è appaltata all’esterno con i risultati (e le tragedie) sotto gli occhi di tutti.
Immigrazione Stretta sull’asilo, sberle in tribunale e il caso Tirana
L’operazione coloniale dei centri in Albania è arrivata al momento della verità: non sarà risolutiva ma sull’immagine il governo si gioca tutto. Per il resto, abbandonata l’idea dei porti chiusi, il governo ha fatto la guerra alle Ong del soccorso in mare e arretrato il più possibile Guardia Costiera e Finanza (si è visto a Cutro, febbraio 2023: 94 morti sotto costa), affidandosi a libici e tunisini. Ha stretto le maglie dell’asilo rimediando sberloni nei tribunali, non ha semplificato gli ingressi legali dei lavoratori richiesti dalle imprese, ha congelato le pratiche di cittadinanza e ha prodotto norme criminogene come l’ultima che nega il telefonino a chi non ha il permesso di soggiorno. Così, oltre all’esercito degli irregolari, crescerà pure il mercato nero delle sim. Certo, i 54 mila sbarchi del 2024 non arriveranno ai 158 mila del 2023 (+50% sul 2022), ma le dinamiche generali pesano più delle politiche italiane.
Sanità Ritardi e molta propaganda: senza risorse, l’agonia prosegue
La crisi del Servizio sanitario nazionale è figlia di anni di tagli e degli appetiti dei privati che affondano nel ventre molle delle Regioni. Ad invertire la rotta non poteva essere un tecnico come l’ex rettore di Tor Vergata Orazio Schillaci, ben referenziato ma senza peso politico. Così le risorse sono quelle che sono: meno di un miliardo in più per il 2025, i tre miliardi chiesti dal ministro sono rimandati se va bene al 2026. Si attendono le promesse assunzioni, ma molti medici preferiscono il privato e gli infermieri li cerchiamo all’estero. Dopo molti spot è ancora atteso l’intervento sulle liste d’attesa, aumenta solo la spesa sanitaria privata delle famiglie. I pronto soccorso esplodono, la riforma della medicina territoriale è su un binario morto. Inseguono le emergenze: lo dimostrano ritardi e confusione sull’anticorpo contro il virus sinciziale dei bimbi piccoli; se va dato a tutti hanno perso tempo, ma in ogni caso sarà un affare per il produttore Sanofi.
Cultura Bufera sul tax credit e sui disastri Rai
Molte ombre e poche luci. L’ex ministro Sangiuliano ha riformato il ministero eliminando il dg e accorpando dipartimenti, accentrando potere e togliendo autonomia ai musei. E proprio le nomine in alcuni musei sono state accusate di rispondere alla vicinanza politica più che ai curricula. Proteste poi per la riforma del tax credit, il sistema di crediti d’imposta e agevolazioni fiscali introdotte da Franceschini per i film. Per Sangiuliano, con le risorse a pioggia troppe pellicole sovvenzionate. Grande successo, invece, per l’apertura dei musei nei festivi. Poi il “caso Boccia”, l’addio imposto a “Genny” e l’arrivo di Giuli. Cultura vuol dire anche Rai: che, dopo la fuga di diversi “campioni”, colleziona flop
Scuola/Università Niente alloggi, flop made in Italy
Si attendevano decine di migliaia di nuovi posti letto per gli universitari. Ma dopo un anno non ci sono ancora. Nel frattempo la ministra dell’Università Bernini sta facendo un regalone alle telematiche: studenti raddoppiati e il minimo di lezioni in presenza al 15%. Il collega dell’Istruzione, Valditara, è stato invece deferito alla Corte Ue per l’eccesso di precari. Dice di aver alzato gli stipendi degli insegnanti del 17%, per i sindacati è per lo più taglio del cuneo. E poi: il Liceo del made in Italy non decolla, la riforma dell’istruzione tecnica porta le aziende in cattedra, alle medie torna il voto in condotta. Almeno abbiamo pene più severe per le aggessioni agli insegnanti e lo stop ai cellulari in classe.
Europa Asse con Ursula anche senza votarla: l’Ue a destra fa felice Chig
Sull’Unione europea il governo Meloni ha giocato a carte coperte, ma per poco. Alla fiera impostazione sovranista degli inizi è seguito l’adattamento, obbligato dalle regole monetarie, e un lavorìo di convergenza con la presidente della Commissione e con il suo partito di riferimento, il Ppe. Così Meloni ha potuto votare contro Ursula e ottenere una vicepresidenza esecutiva per Fitto. Il centrodestra italiano si adegua ai diktat, si pensi al Patto di stabilità, ma il quadro europeo si sposta a destra, basta guardare al consenso progressivo che raccoglie la politica anti-immigrati italiana. Anche lo spostamento a destra del governo francese aiuterà.
(da Il Fatto Quotidiano)
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