MELONI E SALVINI, SOVRANISTI AZZOPPATI
SALVINI RINTRONATO, MELONI SI CONSOLA CON LA LEADERSHIP SOVRANISTA, SILVIO GONGOLA
La drammatica autocritica di Salvini che ha perso Milano al primo turno, con le liste Fdi a un soffio dalle sue e l’intero centrodestra lombardo sotto choc: “Demeriti nostri, siamo arrivati tardi”.
Il lungo silenzio della Meloni, che non riesce a sfondare nel Paese: “Siamo il primo partito del centrodestra, primi in assoluto a Roma” è la stoccata all’alleato, in serata. La butta sui guasti dell’astensionismo e sulla partita capitolina ancora aperta: “La sinistra non festeggi”. Accarezza il risultato “ragguardevole” di Calenda. Roma focus mundi. Ma Napoli e Bologna già perse in modo secco.
In casa sovranista, le aspirazioni sono state bruscamente ridimensionate. La somma non fa il totale, elidendosi non si governa.
Lo racconta il sollievo, ancora carsico, dell’ala “governista” del centrodestra: federatore cercasi, e dopo la “scoppola” dei “ragazzi”, Berlusconi scalda i motori. “Salvini e Meloni hanno voluto fare un referendum su di loro, imponendo i candidati e pensando che bastasse, ma l’hanno perso. La personalizzazione non paga più”. Osvaldo Napoli è uno che di partiti personali se ne intende: iscritto a Forza Italia dal ’94, ha traslocato con il gruppo “draghiano” di Toti da oppositore alla trazione sovranista del centrodestra. Quell’area che oggi brinda allo psicodramma in via Bellerio: il ko del “pediatra con la pistola” Bernardo ha aperto non una crepa ma un abisso nei sogni di gloria del Capitano.
Non è una sconfitta: è un incubo che si materializza, sostanziato dai primi dati di lista che vedono la Lega intorno all’11%. Lo sigilla un Maurizio Lupi insolitamente duro: “Che scoppola, il peggior risultato della storia del centrodestra, sembrava X Factor, senza Silvio manca il collante”.
Nel quartier generale leghista il clima è scuro, le facce tirate, nessuno risponde ai messaggi, zero voglia di argomentare. Letta e Sala appioppano a Salvini la debacle milanese. Lui gioca d’anticipo, prova a scrollarsi di dosso l’immagine del pugile suonato mettendoci la faccia. E’ il primo dei leader a commentare, sia pure laconicamente: “Perso per demeriti nostri, erano i migliori candidati possibili ma li abbiamo messi tardi”. Sa di aver perso il derby interno, rilancia l’”unità seria”. Avvisa: “Nessuno usi questo voto per abbattere il governo”.
Meloni ha già aperto quel dossier: “Voto Draghi al Colle ma elezioni subito”. La resa dei conti è iniziata a scrutinio ancora caldo. A Roma va meglio fino a un certo punto: Michetti è proiettato verso il ballottaggio in vantaggio su Gualtieri, ma sotto la somma dei partiti che lo sostengono. E lì c’è un altro dente che duole: le liste leghiste sono intorno al 6,5%, quelle meloniane al 18%. Il triplo.
Sgarbi, aspirante assessore alla Cultura, va lesto in tv per “chiamare” Calenda, vorrebbe per lui un ruolo nell’eventuale giunta Michetti, e avvisa: “Sono mancati i voti della Lega, quelli delle periferie che prima l’avevano votata…”.
L’asse sovranista, però, sta uscendo più che ammaccato. Azzoppato.
A Napoli, Manfredi conquista il primo turno: Maresca è sideralmente lontano al 20%, la lista leghista è stata esclusa per ritardi nella presentazione (ma c’è chi maligna di un escamotage per evitare conte infelici), FdI è intorno al 4,3% con Fi al 7%.
A Bologna, Lepore veleggia al 60%, Battistini sta chiuso in albergo, la Lega sta al 7% con FdI al 12,5%. Sono i primi dati, non conclusivi, certo indicativi di un clima. “Orecchie basse” ridacchia un forzista.
Eppure, anche a Torino, con il “civico” Damilano coccolato dal ministro Giorgetti (ma rivendicato anche dai salviniani) va meno bene delle previsioni: sarà ballottaggio, ma è il candidato Dem Lo Russo a partire favorito.
La trincea diventa la Calabria, dove Occhiuto è già governatore, forte del 53% (la Bruni del centrosinistra è al 29%) e di un sistema elettorale a turno unico. I festeggiamenti sono pronti dal pomeriggio, scende lo stato maggiore azzurro: il coordinatore Tajani, il deputato super-berlusconiano Giacomoni. Si riparte da Catanzaro, ed è meglio di niente.
Salvini e Meloni, sicuramente, non la pensano così.
(da Huffingtonpost)
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