MELONI E’ STUFA DELLE CRITICHE SULLA MANOVRA MA E’ PRONTA AL RITIRO SUL POS
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L’ordine è partito da Giorgia Meloni: scavare trincee, alzare barricate, replicare colpo su colpo. Perché la premier è già “stufa” degli attacchi al suo governo. Quelli di Bankitalia, quelli che potrebbero arrivare dall’Europa, quelli già resi pubblici dalle parti sociali.
Stanca di finire nel mirino, visto che guida il Paese da poche settimane. Questo è il sentimento, il senso dell’assedio permanente. La linea di Giovanbattista Fazzolari, insomma, è la sua: lascia solo che sia il suo sottosegretario a pronunciare quelle parole di fuoco, però, perché farlo in prima persona appiccherebbe un incendio istituzionale devastante.
Lo scontro
Eppure, c’è strategia anche in questo sentimento. Attaccare Bankitalia, per prepararsi al compromesso. Rivendicare una posizione storica, per dare la colpa ad altri dell’eventuale marcia indietro. Popolo contro palazzi, commercianti contro banchieri. E così, Meloni permette che si apra uno scontro istituzionale con Palazzo Koch. Sottotraccia, però, l’esecutivo tratta con Bruxelles. Prova a chiudere un accordo per abbassare da sessanta a trenta euro il limite per pagare con il pos. Tenterà di esplorarla fino alla fine. Ma siccome non intende mettere a rischio i fondi del Pnrr per una leggina sui bancomat, è disposto a un dietrofront completo: la cancellazione totale della norma. Meloni non può bruciare miliardi solo per difendere una misura bandiera. Non è questa la regina di tutte le battaglie. Semmai, il governo tirerà un po’ di più la corda sull’innalzamento del tetto massimo per il contante, che al momento ha fissato a 5 mila euro.
Il rischio slavina
Non è soltanto una questione di pos, o comunque: c’è molto altro dietro questo scontro con Bankitalia. Lo si capisce poco dopo l’affondo del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, quando parole ruvide arrivano anche dal vicepremier Antonio Tajani. In questa escalation c’è anche la paura che i conti sfuggano di mano. La premier sa che la manovra è nel mirino. Di Bankitalia, appunto, ma anche dell’Europa e delle parti sociali. Sa che l’inverno potrebbe diventare caldo, di piazza, dando sfogo alle proteste per l’abolizione del reddito di cittadinanza. E conosce il rischio peggiore: la slavina.
Un conflitto aperto con la Commissione europea sul bancomat può mettere a rischio gli obiettivi del Pnrr, che prevedono di non tornare indietro su tracciabilità e denaro elettronico. L’alternativa è vedersi decurtati i miliardi – quaranta solo nel 2023 – che il Recovery mette a disposizione dell’Italia. L’effetto ricadrebbe sul Pil, dunque sui conti pubblici. E, di conseguenza, sulla capacità del Paese di finanziarsi con i titoli di Stato. Ecco perché Palazzo Chigi reagisce con l’ormai consueto doppio registro: alza il tiro, ma sottotraccia si mette nella posizione di siglare una tregua. È successo sui migranti, potrebbe accadere sulla manovra.
E d’altra parte, Meloni deve evitare che il suo governo si bruci alla prima curva. I ritardi del Pnrr emergeranno in tutta la loro potenza dirompente già a inizio 2023, perché molti cantieri non sono stati neanche pensati. Raffaele Fitto, alle prese con un lavoro ciclopico, si prepara a un’operazione trasparenza per provare a mettere al riparo l’esecutivo dagli effetti di questa dinamica. E poi ci sono le stime sulla crescita: anche in quel caso, la premier si gioca molto. Se infatti le previsioni al ribasso del Fondo monetario internazionale (-0,2%) dovessero risultare più accurate di quelle dell’esecutivo (+0,6%), si avvicinerebbe ancora quell’effetto a catena temuto da Palazzo Chigi.
Il Quirinale
E poi c’è il Quirinale. È prassi che per atti di questa importanza Bankitalia tenga informato il Colle. L’attacco scomposto di Fazzolari non è naturalmente passato inosservato al Quirinale. Un tuffo nell’archivio può aiutare a decifrare il pensiero di Sergio Mattarella. Cinque anni fa, il 17 ottobre 2017, quando l’allora segretario del Pd Matteo Renzi annunciò una mozione contro il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il Presidente della Repubblica fece infatti sapere che “le prese di posizione riguardanti Bankitalia debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto e nell’interesse della situazione economica dell’Italia e della tutela del risparmio degli italiani”. A tali principi “deve attenersi l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”. E dunque va registrata la quasi immediata rettifica di Fazzolari, dopo l’affondo.
L’attacco a Bankitalia s’inserisce inoltre nella partita per la successione dello stesso Visco, che scade a fine ottobre del 2023. E che spetta a questo governo. Il Capo dello Stato svolge tuttavia un ruolo sostanziale nella procedura, visto che firma il decreto di nomina su proposta del consiglio dei ministri. Già nell’ottobre del 2015 Mattarella aveva definito “preziosa e fondamentale” l’azione di vigilanza di Bankitalia. Disse testualmente: “Un sistema bancario efficiente, stabile, inclusivo – su cui, nel nostro Paese, si esercita la preziosa e fondamentale azione di vigilanza della Banca d’Italia – rappresenta una componente essenziale per lo sviluppo sostenibile dei nostri Paesi e dell’Unione”.
(da agenzie)
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