MELONI VEDE GIULI E LO BLINDA, DOPO LE DIMISSIONI DEL CAPO DI GABINETTO FRANCESCO SPANO, MA AUMENTANO I VELENI INTERNI AL PARTITO, LE LITI E LE VOCI SUL NEO-MINISTRO (CONSIDERATO UN CORPO ESTRANEO A FRATELLI D’ITALIA)
LA PRIMA PARTITA DA CHIUDERE: TROVARE UN NUOVO CAPO DI GABINETTO, DOPO LA CACCIATA DI FRANCESCO GILIOLI E I NOVE GIORNI DI SPANO. PER IL POSTO SAREBBE STATA CONTATTATA CRISTIANA LUCIANI, MOGLIE DI LUCA SBARDELLA, DEPUTATO DI FDI. MA L’AVVOCATA NON HA DATO LA PROPRIA DISPONIBILITÀ
La notizia arriva nel tardo pomeriggio, quando mancano poche ore alla puntata di Report che da giorni fa tremare le mura del Collegio Romano: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro della Cultura Alessandro Giuli si sono visti per un lungo pranzo domenicale. Circa tre ore.
Da Palazzo Chigi filtrano poche informazioni.
La scelta delle parole punta con cura a blindare la posizione del ministro: l’incontro è stato «conviviale e sereno», precisa lo staff della premier, i due «sono stati bene», hanno mangiato e poi discusso «del programma del ministero per i prossimi tre anni». Per i prossimi tre anni. L’orizzonte temporale – la fine della legislatura – viene ripetuto e sottolineato.
Il messaggio della presidente del Consiglio è chiaro: Giuli non va da nessuna parte.
Dopo le rassicurazioni della sorella Arianna Meloni a La Stampa («Fratelli d’Italia sostiene il ministro»), la premier tenta di archiviare in fretta la settimana che ha portato l’inquilino del Collegio Romano sull’orlo del precipizio: le dimissioni del capo di gabinetto Francesco Spano, i veleni interni al partito, le liti avvenute davanti agli occhi dei giornalisti, le voci sul neo-ministro già esasperato e tentato dal passo indietro. Meloni ha percepito un rischio reale e ha cambiato strategia.
Fino a mercoledì scorso, il giorno delle dimissioni di Spano, aveva fatto di tutto per tenersi fuori dalla vicenda: «Non me ne sono occupata, non ho incontrato Giuli».
Ma lo stillicidio quotidiano ha continuato ad alimentare la frana e la leader di Fratelli d’Italia è scesa in campo personalmente per mettere al sicuro il neo-ministro.
Non a caso, lo ha fatto nello stesso giorno in cui Report ha mandato in onda una lunga inchiesta sulla crisi del ministero della Cultura negli ultimi mesi, dalla gestione Sangiuliano alle grane del successore:
Meloni vuole far capire che bisogna andare avanti, pensare alle cose da fare. Tante, perché il Collegio Romano è congelato da mesi, sospeso nel tempo dell’incertezza fra uno scandalo e l’altro, un ministro e l’altro.
La lista è lunga. Secondo un approfondimento del Sole 24 ore, al momento, un terzo dei musei autonomi – 21 su 67 – è senza direttore. Fra questi, ci sono siti di massima rilevanza: il Parco Archeologico del Colosseo, il polo accorpato della Galleria dell’Accademia e di Musei del Bargello a Firenze, il Museo archeologico nazionale di Napoli, il complesso che raggruppo Pantheon e Castel Sant’Angelo e il Complesso Monumentale della Pilotta a Parma. I tempi sono lunghi, ogni bando richiede almeno sei mesi. La situazione rischia di trascinarsi fino a metà del prossimo anno.
E poi ci sono gli effetti collaterali della lunga gestazione della riforma sul tax credit: il settore è rimasto bloccato per mesi, i decreti attuativi sono arrivati meno di dieci giorni fa. Al ministero stimano che il ritardo abbia fatto perdere a Cinecittà il 60 per cento delle produzioni solo da gennaio a giugno 2024. Nel frattempo, anche il MiC deve versare il proprio obolo alla manovra: un 5 per cento di tagli su 3, 5 miliardi, un bilancio già piccolo rispetto agli altri dicasteri.
La prima partita da chiudere sarà quella delle nomine all’interno del Collegio Romano. Il ministro ha una scadenza indicata da Palazzo Chigi: non più tardi di dicembre. La priorità è trovare un nuovo capo di gabinetto, dopo la cacciata di Francesco Gilioli e i nove giorni lampo di Francesco Spano. Per il posto sarebbe effettivamente stata contattata Cristiana Luciani, che lavora Garante della Privacy ed è moglie di Luca Sbardella, deputato di FdI. Ma l’avvocata non avrebbe dato la propria disponibilità, secondo fonti del ministero della Cultura. E come lei, altri funzionari si starebbero tenendo alla larga dal ruolo, intimoriti dalla velocità con il quale sono stati bruciati i predecessori.
Di certo, per ora, più che un programma Giuli ha cominciato a definire un manifesto: «Vorrei smettere di dire che c’è un centro di ricchi e una periferia di poveri senza cultura, – ha detto in un’intervista su Rai Radio 3 – fare in modo che tutti possano occuparsi di cinema, spettacolo e arti sapendo che non ci può essere diaframma ideologico in questi temi e, soprattutto, vorrei abbassare la conflittualità». A chiudere, una nota auto-ironica, una risata accennata: «Quindi probabilmente fallirò».
(da agenzie)
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