MESSINA DENARO, ‘U SICCU E IL FASCINO PER NULLA DISCRETO DI QUELLA BORGHESIA
LA LATITANZA GARANTITA DALL’ALTO
Per curare i quattro figli avuti da Ninetta Bagarella, Totò Riina si rivolgeva al dottor Antonio Rizzuto, sanitario della Usl 58, che tra il 1974 e il 1980 vaccinò uno dopo l’altro Maria Concetta, Giovanni, Giuseppe Salvatore e Lucia, cresciuti alla macchia con mamma e papà. Per farsi asportare un cancro alla prostata, invece, Binnu Provenzano fu costretto a trasferirsi a Marsiglia dove si affidò alle cure di un urologo di grande talento: secondo alcuni in sala operatoria c’era anche il giovane Attilio Manca che, avendo però riconosciuto il vecchio boss, poco tempo dopo fu trovato cadavere in quello che un frettoloso processo definì un “suicidio per overdose” e che i genitori del dottore denunciano da anni come “omicidio di Stato”, voluto dai Servizi per coprire la latitanza del padrino.
C’è sempre un medico in “famiglia” e spesso per ricorrere alle sue cure il superlatitante è disposto a lasciare la sicurezza del covo e a spostarsi da una città all’altra, rischiando la cattura.
È accaduto anche a Matteo Messina Denaro, arrestato a Palermo all’interno della clinica dove il boss ammalato di tumore si era recato lunedì per un ricovero in day hospital. “Era un signore gentile – ha detto un medico, descrivendo i modi di Messina Denaro – ci regalava l’olio del suo paese”.
Col suo cappotto di montone e l’orologio da 35 mila euro, il capomafia della provincia trapanese, in cima alla lista dei criminali più pericolosi del mondo, è apparso l’immagine della straordinaria capacità di infiltrazione della mafia nella società civile, l’incarnazione della sua perfetta capacità di mimetizzazione nei contesti della borghesia cittadina, come è sicuramente una clinica privata tra le più rinomate dell’isola. E, del resto, il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia ha messo in chiaro che “C’è stata certamente una fetta di borghesia che negli anni ha aiutato Messina Denaro”, sottolineando che “le indagini puntano proprio su questo”. Sarebbe ora.
Come ho cercato di raccontare nel mio romanzo Nessuno escluso (Ianieri edizioni), il primo racconto civile sulla borghesia mafiosa, il sostegno dei professionisti in doppio petto – o in camice bianco – per la mafia, è tutto. E di certo i trent’anni di dorata latitanza, presumibilmente trascorsi senza mai allontanarsi, impongono oggi più di una domanda sulla fitta rete di protezione che dall’alto ha permesso una tale impunità. Quali poteri hanno coperto il boss? Quali politici? Quali apparati? Quali colletti bianchi? Nessuno, negli ultimi anni dedicati alla cura, lo ha mai identificato? Quanti medici lo hanno visitato? Quale laboratorio gli ha diagnosticato il tumore? “Decine di persone sono state arrestate per il favoreggiamento a Messina Denaro – ha sottolineato qualche tempo fa Teresa Principato, ex magistrato della Dna, che per anni ha indagato sul boss trapanese – e possiamo dire che i livelli di protezione attorno alla sua latitanza sono da sempre legati ad ambienti sociali medio-alti”.
Del resto, il regno di Messina Denaro è sempre stato la provincia di Trapani, la terra dove boss, politica e massoneria hanno costituito un unico blocco dominante di potere. Lo scenario nel quale il capomafia si è mosso invisibile come un fantasma scivolando nel ventre molle di una borghesia mafiosa che lo ha protetto e vezzeggiato, in uno scambio di reciproci – e lucrosissimi – vantaggi in termini di affari, potere, denaro. Al punto che gli investigatori oggi quantificano il tesoro (nascosto) di Messina Denaro in qualcosa come 13 milioni di euro. Dove sono occultati? Quanti prestanome lo gestiscono? Quanti riciclatori lo fanno fruttare? L’auspicio è ora che la promessa di De Lucia, quella di un’indagine su larga scala sulla collusione borghese di tutte quelle figure sociali che hanno sostenuto lo stragista superlatitante, riesca finalmente a diventare una realtà capace di squarciare il velo della grande nebulosa che alimenta da oltre un secolo il fenomeno mafioso. Sì, perché la mafia borghese è ancora oggi l’oggetto impenetrabile della più grande rimozione nella narrazione pubblica su Cosa Nostra. Tanto feconda nel raccontare con film e fiction le gesta truculente del proletariato mafioso, quanto incapace di descrivere le collusioni di politici, parlamentari, capi dei servizi segreti, medici, avvocati, direttori di banca, imprenditori e persino ecclesiastici: quell’articolato sottobosco di compiacenze interessate che è il vero nutrimento della mafia e che nell’apatia generale ha permesso a criminali sanguinari come Messina Denaro di arricchirsi a dismisura, esercitando il proprio potere di intimidazione e diventando sempre più invincibili.
(da Il Fatto Quotidiano)
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