MOLTE FABBRICHE NON RIAPRONO I CANCELLI: SONO 500.000 I POSTI A RISCHIO
LA RIPRESA E’ DEBOLE, I NUOVI MERCATI LONTANI E LA CRISI PARLA ITALIANO: FIAT, INDESIT, MERLONI, ITALTEL, BURANI, TIRRENIA, UNICREDIT, OMSA…SONO 200 I CASI DI CRISI APERTI AL MINISTERO DELLO SVILUPPO: IL MERCATO INTERNO IN SOFFERENZA PER LA MANCANZA DI UNA POLITICA INDUSTRIALE
Il polso della situazione lo dà un osservatorio privilegiato in questa fase di crisi del sistema industriale italiano, l’Unità per la gestione delle vertenze delle imprese in crisi, presso il ministero dello Sviluppo economico.
Si riprende il lavoro, ma vi sono oltre 200 tavoli aperti e 500.000 posti a rischio.
E non tutte le vertenze arrivano al ministero.
Si tratta di una crisi “made in Italy”: le aziende più in difficoltà sono quelle che dipendono dal mercato interno italiano.
Chi si è spostato sui mercati emergenti sta cercando di uscire dall’apnea, chi ha il suo sbocco sul mercato domestico è sull’orlo del baratro.
E’un’Italia, quando va bene, prigioniera della cassa integrazione, da Fiat a Indesit, da Italtel a Burani, da Tirrenia a Unicredit, a Omsa.
E non risparmia neppure la multinazionale Pepsi di Silea, nel trevigiano, coi suoi 100 dipendenti.
Scende al Sud con i casi di Pomigliano e Termini Imerese (1.350 lavoratori), con il distretto lucano del divano, la crisi della Natuzzi, con 1.500 dipendenti, e il polo aeronautico di Alenia.
A parte il caso Tirrenia, con una privatizzazione abortita e 3.000 posti a rischio, al ministero arrivano numerosi i dossier delle aziende in crisi nel mondo dei trasporti, in particolare quello dei componenti per il ferroviario: la Firema è in amministrazione controllata, la Fervet in liquidazione, la Keller sta chiudendo in Sicilia.
In totale 2.000 posti di lavoro senza contare l’indotto.
Cadono anche pezzi del “made in Italy” con i fallimenti di Mariella Burani (1.500 lavoratori) e della Itierre ( con i marchi Ferrè e Cavalli e 1.500 dipendenti).
Con 4.000 aziende fornitrici, si parla di 6.000 posti di lavoro che potrebbero saltare.
Anche nel comasco entro fine anno potrebbero chiudere una sessantina di piccole aziende metalmeccaniche, cancellando 300 posti di lavoro: a rischio anche l’Isotta Fraschini.
Aver pensato che potesse esistere un “mercato italiano” è spesso all’origine dei tracolli nel campo della chimica, dell’informatica e delle telecomunicazioni. Così ora ci si trova a dover gestire la crisi di Italtel, della Sirti o della Vinylis di Porto Marghera e Porto Torres (800 dipendenti)
E’ anche una crisi alimentata dalle nostre carenze strutturali, dalla mancanza di una programmazione di politica industriale da parte dei vari governi, con ripercussioni gravi e inevitabili sul terziario e sul commercio.
La via di uscita dalla crisi è sempre più lontana.
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