NEANCHE LA FATICA DI RISPONDERE
VOGLIONO FAR NAUFRAGARE LA CONSULTAZIONE REFERENDARIA SENZA NEANCHE OPPORRE RAGIONI
Il quorum ai referendum è un miraggio, da anni e con pochissime eccezioni (quello sull’acqua pubblica) vanno a votare in pochi, sempre di meno. Chi insiste lo fa per un atto di fede nella democrazia che va comunque rispettato e incoraggiato, anche in considerazione del fatto che milioni di firme sono state raccolte dai comitati promotori, e dunque non si tratta dello sfizio di una minoranza disturbatrice, ma di un movimento di popolo che chiederebbe, anche solo per educazione, una delle due risposte previste: un SI o un NO.
Dunque è bello e giusto fare propaganda, con poco ottimismo ma molta buona volontà, per i cinque referendum dell’8 e 9 giugno: quattro, indetti dalla Cgil, vogliono abrogare altrettanti “pezzi” del Jobs Act del 2014 per rafforzare i diritti dei lavoratori dopo tanti anni di arretramento; il quinto punta alla concessione più rapida della cittadinanza agli stranieri in regola per averla. Specie quest’ultimo è molto coinvolgente, ho visto e sentito parlare giovani attiviste di origine straniera (ma più italiane di molti italiani) che ci mettono passione e speranza, impossibile non sentirsi al loro fianco a meno di nutrire fobie per il ringiovanimento della nostra stracca comunità nazionale.
Tra coloro che sono legittimamente contrari ai cinque quesiti, si deve constatare l’aumento di quelli che invitano a non andare a votare piuttosto che votare NO, così da far naufragare la consultazione popolare senza nemmeno fare la fatica di replicare ai promotori. Si tratta, usando un eufemismo, di un espediente di non alto profilo. Che sia la seconda carica dello Stato a indicare questa via mortificante, ma, come dire, non ci aspettavamo altro.
(da repubblica.it)
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