“NEL PDL NON TUTTI SEGUIRANNO SILVIO”: IL PIANO DI LETTA PER ARRIVARE AL 2015
MA SE SALTA LA MAGGIORANZA L’OBIETTIVO SARA’ LA RIFORMA ELETTORALE
«La crisi economica è un grave problema per l’Italia, ma rispetto a Berlusconi…». La frase che scappa all’ex segretario di Stato Henry Kissinger uscendo dal Brook, l’esclusivo club di Park Avenue dove in mattinata ha incontrato Letta, rende bene l’umore con il quale il premier attraversa le strade di New York.
«Il presidente è furibondo», raccontano da due giorni dalla delegazione italiana.
Da quando il Pdl ha fatto esplodere la bomba delle dimissioni di massa.
«Andiamo a vedere se bluffano o se fanno sul serio — era il leitmotiv nelle conversazioni telefoniche tra Letta e i suoi fedelissimi a Roma — e in caso vediamo se tutti i parlamentari del Pdl reggono le dimissioni».
Una visita funestata dall’irresponsabilità del Pdl è quanto resta nelle tasche del premier dopo cinque giorni impegnato a rilanciare l’immagine dell’Italia per attrarre preziosi capitali stranieri tra Toronto, Ottawa e New York.
Basta pensare che mercoledì il caso Berlusconi è nuovamente deflagrato quando il premier aveva appena finito di parlare agli investitori di Wall Street e stava per intervenire all’Assemblea generale dell’Onu.
«Hanno umiliato l’Italia», va ripetendo Letta pensando alle rassicurazioni, alle prospettive di stabilità e di crescita che aveva dispensato a gente del calibro di Carlos Slim e George Soros.
E invece la domanda che alla fine si è sentito ripetere più frequentemente non era sulle potenzialità dell’Italia, ma su quanto Berlusconi sia ancora in grado di portarla a fondo.
I fotogrammi da mettere a confronto sono quelli che ritraggono il premier nei primi giorni del viaggio, disteso e soddisfatto dell’operazione di rilancio dell’Italia, e quelle degli ultimi due, quando usciva dai suoi appuntamenti e saliva in auto costantemente con il telefono attaccato all’orecchio.
Anche ieri le telefonate con Napolitano, Alfano e Franceschini rimasto a presidiare Palazzo Chigi che a un certo punto, per cercare di tirar su l’umore della truppa lettiana, si lascia andare in una battuta: «Ah, Enrico è con Kissinger e non mi può parlare? Allora ditegli che visto che sono qui tutto solo adesso il golpe di cui ci accusa Berlusconi lo faccio davvero».
Battute a parte, è un susseguirsi di telefonate ed sms tra il discorso agli studenti della Columbia Uneversity e la fondamentale bilaterale con Rohani, il lancio dell’Expo e l’incontro con il candidato sindaco di New York Bill de Blasio.
È così che prende forma la strategia del premier.
Quella di «andare a vedere il bluff».
Il piano che inizia a circolare tra Roma e Manhattan prevede tre tempi.
Primo, chiedere la fiducia in Parlamento su una linea programmatica che consenta al governo di navigare fino al 2015. «Se tutto il Pdl e tutto il Pd la votano abbiamo fatto bingo», ragionava ieri sera un parlamentare lettiano in costante contatto con il premier.
L’analisi è che alla fine il Pdl cederà e voterà la fiducia, ma non si può mai essere certi.
Per questo c’è un “piano B”, del quale velatamente si discute. La scommessa è quella che sulla fiducia il Pdl si spacchi, con una pattuglia di fuorusciti che formi un gruppo autonomo, embrione del futuro Ppe italiano, in grado di tenere in piedi il governo anche al Senato.
Al progetto pensano un paio di ministri moderati, si parla anche di Quagliariello, Casini e Monti aiutati dal titolare della Difesa Mario Mauro.
Per questo la priorità nelle ore che precederanno il voto di fiducia «non sarà quella di reclutare singoli senatori berlusconiani — spiega chi è al lavoro nella ridotta di Palazzo Madama — ma costruire un progetto politico che consenta il deflusso dei moderati dal Pdl»
Un piano però difficile da realizzare in tempi brevi.
Ed ecco la terza opzione che circola tra i fedelissimi di Letta.
Se il Pdl dovesse restare compatto e non votare la fiducia, scatterebbe l’ultima offensiva targata Qurinale-Chigi, quella sulla legge elettorale.
Chi parla con Letta la spiega così: «A quel punto Napolitano ci chiederà di correggere il Porcellum e nessuno potrebbe tirarsi indietro visto lo scarso credito che gode presso gli elettori. A quel punto faremmo un decreto, consentito dall’incostituzionalità della legge, inserendo le preferenze e togliendo la soglia per il premio di maggioranza».
A quel punto, è la speranza dei governisti, chi nel Pdl raccoglie le preferenze sul territorio potrebbe sentirsi più garantito per la rielezione e salutare Berlusconi.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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