NELL’EX BASE PER I MISSILI, SENZ’ACQUA CALDA E IN CAMERATE AL FREDDO
I PROFUGHI A CONA: “SEI MESI PER AVERE UN DOCUMENTO”
La rabbia del Veneto, questa volta, ha la faccia di un giovane ventenne che viene dalla Guinea. Si chiama Yansanè e non vuole nascondersi.
«Sì – dice in francese – ho partecipato anch’io alle proteste dell’altra notte per quella povera ragazza». Sandrine Bakayoko, ivoriana di 25 anni, era una delle ospiti del centro di accoglienza di Cona, nel Veneziano: domenica mattina un malore l’ha colta in bagno. Era sola, sotto la doccia. L’hanno trovata priva di sensi, dopo aver sfondato la porta.
Vana la corsa al pronto soccorso di Piove di Sacco, nel Padovano. La ragazza, secondo l’autopsia eseguita ieri, è morta per una tromboembolia polmonare. Morte naturale, dunque. «Era influenzata da giorni», racconta ancora Yansanè. E denuncia: «Quando stai male, qui dentro, qualsiasi cosa tu abbia ti danno sempre un’aspirina, sempre che ce ne siano ancora».
Lui, con un altro centinaio di migranti, domenica notte, ha detto basta. E’ insorto: ha occupato il centro di accoglienza, acceso dei falò e sequestrato per qualche ora 25 operatori della cooperativa che gestisce il campo.
Una rabbia coltivata da mesi che, per tutta la giornata di ieri, non è scemata.
Per capirla bisogna venire qui, nella frazione di Conetta, 200 anime, tanti campi e un’ex base missilistica chiusa da 10 anni, dismessa da 4 e da circa 15 mesi diventata un centro di accoglienza. Un hub, per dirla all’inglese.
Uno di quei non luoghi che viene utilizzato per ospitare migranti. Quanti? Nessuno sa dirlo. Ufficialmente 1366 (tanti sono i pasti serviti), 25 le donne. Ma secondo fonti non ufficiali arriverebbero fino a 1800-2000.
«Un delitto»
«Comunque troppi», dice il sindaco, Alberto Panfilio, che denuncia: «Non si può parcheggiare così tante anime in questo posto».
Ha passato quasi tutta la notte davanti ai cancelli della base, la febbre a 38 e poca voglia di usare mezzi termini: «Non importa che quella giovane ivoriana sia morta in modo naturale. Qui, in ogni caso, è stato commesso un delitto. L’assassino? E’ la politica che, nella sua totale assenza, ha creato le condizioni perchè accadesse tutto questo».
Poi rivela: «Quella donna aveva anche subito un aborto un mese fa». Sandrine era sopravvissuta al barcone su cui, con il compagno, aveva attraversato il Mediterraneo partendo dalla Libia, non al malore che l’ha colta nei bagni di questo centro d’accoglienza.
Il viavai fuori dall’ingresso della base non si ferma. Decine di agenti schierati in tenuta anti-sommossa proteggono l’ingresso. Cercano di fare entrare i furgoni del servizio mensa, ma per qualche ora non ci riescono. La protesta dei migranti continua. Dentro non si entra. Non solo gli operatori della cooperativa, anche i giornalisti restano fuori.
Filo spinato
Una cinta di filo spinato protegge l’insieme di ex edifici militari e nuove tensostrutture allestite per i richiedenti asilo.
E loro escono, ci mettono la faccia per spiegare i motivi della protesta: «Il primo problema sono i documenti: c’è gente che è qui dentro da sei mesi in attesa di una risposta per la richiesta d’asilo», denuncia David, 36 anni e tre figli lasciati in Ghana prima di affrontare il deserto e il mare con un gommone da mille dinari a testa.
E continua: «Poi le condizioni igieniche e l’assistenza non funzionano: per avere acqua calda mi alzo alle tre di notte ormai da due mesi. Anche le stanze non sono sempre riscaldate». Ma avete a disposizione soldi? «75 euro al mese», spiega ancora David. Due euro e pochi centesimi al giorno che servono a ricaricare i telefoni, chiamare casa e dire che, forse, andrà tutto bene. E proprio da quegli smartphone David e un capannello di suoi connazionali mostrano le foto e i video delle camerate dove vivono ammassati in letti a castello, dei bagni intasati, della sporcizia che invade ogni angolo.
La cooperativa nel mirino
Una rabbia condivisa. Tra i migranti e fra gli abitanti che si aggirano circospetti nelle viuzze di questa frazione, di campi lasciati a maggese e un solo bar chiuso per le vacanze natalizie. E nel mirino finisce Ecofficina, la cooperativa padovana di Battaglia Terme, che gestisce il campo di Conetta e altri centri di migranti, da Rovigo a Treviso.
Era nata per operare negli asili e nelle biblioteche ma ora la sua attività principale è diventata quella dell’accoglienza. Tanto da arrivare a fatturare oltre 10 milioni di euro in un anno.
Un’ascesa che è finita anche nel mirino degli inquirenti: due le inchieste aperte sui vertici della cooperativa (una per falso relativa all’aggiudicazione di un bando Sprar, il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Nonchè una «scomunica» da parte della Confcooperative che ha sospeso Ecofficina lo scorso settembre («E’ una coop che guarda troppo al business e non risponde alle logiche della buona accoglienza»).
Davide Lessi
(da “La Stampa”)
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