NUOVA GESTIONE DELL’AZIENDA M5S: SE NE VA IL COMICO GARANTE, ARRIVA IL FUORICORSO DI PALAZZO, DELLE LOBBY DESTRORSE E DEI POTERI FORTI
CON LA DEFINIZIONE DELLE REGOLE PER LA CANDIDATURA A PREMIER, SI RINUNCIA AL PROGETTO ORIGINARIO… E DI MAIO E’ QUANTO DI PIU’ LONTANO DAL M5S DELLE ORIGINI
Cambia l’assetto societario della ditta a 5 stelle: nuovo statuto e nuovo capo azienda. Se ne va il comico garante, l’etereo giullare, l’urlante fondatore pronto a palesare il proprio decisionismo solo quando strettamente necessario.
Arriva il politico, l’uomo di Palazzo, l’elegantissimo enfant prodige, il pugnace primus inter pares (finora, almeno) la punta più alta — lasciando sospeso il giudizio se questo sia un bene o un male — dell’ancora costituenda classe politica movimentista.
Ha chiuso i battenti il Pd tortellini e sezioni per riaprire con la scintillante mise del renzismo da battaglia, non si vede perchè non possa farlo il Movimento 5 stelle.
Nel definire le regole per la candidatura alla premiership, Beppe Grillo ha infatti sparigliato.
I commi sono due, riassumibili in due parole: si possono candidare praticamente tutti, tutti gli attivisti possono esprimere una preferenza. Vincerà chi incasserà un voto più degli altri (postulato questo da noi dedotto dopo un giro di telefonate con i vertici 5 stelle, giacchè il blog rimane ambiguo sul punto). E fin qui nulla di nuovo sotto il sole, si direbbe.
La chiusura della baracca viene annunciata come tutte le decisioni di peso nella vita del Movimento: di nascosto, quasi per sbaglio, con ostentata noncuranza.
Non è un P.S. in coda a un post, questa volta, ma una frasetta all’inizio, che il lettore avido salta per arrivare subito al come e dove. “In vista delle prossime elezioni politiche, riteniamo opportuno che il Candidato Premier e designando Capo della forza politica…”.
Eccoci. Il popolo che accorrerà fra una settimana a Rimini non celebrerà solamente l’investitura del proprio frontman alla corsa delle elezioni.
Ma anche quella del proprio nuovo Capo politico. Proprio così, Capo. Nessun “Coordinatore”, “Segretario”, “Garante”, nessuna formula a tentare ipocritamente di mascherare quel che è. Chi vince, si mangia tutta la torta.
È un segreto di Pulcinella che le palazzochigiarie grilline siano in realtà una passerella per ratificare qual che tutti sanno, vale a dire l’investitura di Luigi Di Maio ad avversario di Matteo Renzi (e Silvio Berlusconi) nella corsa alle urne.
Il principale competitor, forse l’unico, Roberto Fico, difficilmente lancerà il guanto di sfida, troppo furbo per lanciarsi in una sfida a perdere per contrattare qualche posto da minoranza interna, sancendo di fatto una subalternità .
Avrebbe avuto possibilità l’ipermediatico Alessandro Di Battista, che da tempo però ha stretto un sodalizio politico indissolubile con Luigi. Così quella riga di un post di metà settembre cambia seccamente l’assetto societario di una delle principali ditte politiche italiane.
Certificando il sostanziale fallimento del progetto di un garante — a tratti assai decisionista e quasi sempre assai poco liberale — a guardia di una variopinta massa di “cittadini portavoce” che in modo monadistico seguissero placidamente il flusso di volontà incanalato dalla rete.
Il testimone passa a quello che fra tutti incarna l’homo politicus del Movimento, il più lontano dall’idea originaria, della contestazione, della protesta, dei meravigliosi ragazzi arrampicati sul tetto di Montecitorio, delle assemblee fiume per decidere se decidere.
Da sabato sera prossimo, quando sul palco salirà il prescelto, è come se fuori dalla bottega venisse appeso il cartello “Nuova gestione”.
Il negozio rimane quello, cambia tutto il resto. Con esiti al momento imprevedibili. Fino ad oggi le battaglie del M5s sono state estemporanee, velleitarie, chiuse nella ridotta sterile della diversità a tutti i costi.
Grandi stracciamenti di vesti per un emendamento passato, esultanze sguaiate per un codicillo approvato.
Quando c’era da essere determinati sull’uomo che sarebbe salito al Quirinale la trincea aveva scritto sui sacchetti di sabbia l’improbabile nome di Ferdinando Imposimato.
Quando si è trattato di dare uno spintone in avanti allo Ius soli ci si è chiusi dentro il fortino dei distinguo per cavilli.
La grande battaglia per il reddito di cittadinanza, senza cercare sponde, alleanze, compromessi, è da sempre un mero strumento propagandistico. Quella sulle pensioni dei parlamentari una carezza al risentimento greve del proprio elettorato più intransigente, volutamente definite vitalizi per far sembrare enorme una battaglia su una minutaglia che non tocca minimamente le casse dello stato, nè tanto meno incide sul portafoglio della classe politica.
Si guardi il papocchio giudiziario.
Partiti dalle liste pulite, dall’avviso di garanzia come lettera scarlatta con cui marchiare chiunque ne fosse colpito, si è arrivati alla svolta garantista della norma salva-Raggi, alle bizzarre accuse a Pizzarotti (“Sì, è vero che lui è come la Raggi, ma non ce l’ha detto…”), fino al lodo-Di Maio, indagato per diffamazione per una denuncia dell’espulsa genovese Cassimatis.
Così l’indagine in fondo in fondo non è di per sè una sentenza, si sono accorti a Milano, e quindi sì, dai, apriamo le candidature anche a chi ha qualche giudice che scartabella nella sua vita.
Tra confusione e inadeguatezza, senza scomodare Pier Luigi Bersani e il suo mancato governo del cambiamento, i 5 stelle, pur indirizzando alcuni temi, condizionando alcuni (pochi) aspetti dell’agenda pubblica, sono stati sostanzialmente laterali in una fase politica in cui potevano essere al centro del villaggio. Il modello Grillo/Casaleggio sr. si è rivelato quantomeno sterile.
Così l’azienda Casaleggio&Co cambia direttore generale per provare a cambiare pelle, per provare ad avere successo, a incidere anzichè piantare bandierine. E sceglie l’uomo che più fra tutti è quello della mediazione con l’avversario, del calcolo politico, del cedere qualcosa per arrivare a qualcos’altro, del tenersi aperte più porte, spesso divergenti, per poi decidere all’ultimo quale imboccare.
Sempre tenendo fermo il principio che chi non è d’accordo grazie mille, quella è la porta, arrivederci.
Non è un caso che l’ala più intransigente, più vicina ai principi delle origini, quella che negli ultimi mesi si è con più tenacia opposta all’ascesa di Di Maio, sia stata definita “degli ortodossi” (tra le cui fila gira in queste ore “sconcerto e sgomento”, totalmente presa in contropiede dall’accelerazione sulla successione).
Semplificazione giornalistica che, per una volta, restituisce bene il senso e lo spirito di una battaglia.
Elaborato il lutto della scomparsa di Gianroberto, del guru ieratico e visionario che guardava con una prospettiva di decenni annoiandosi delle dispute sul domani, Davide e Di Maio hanno ricalibrato la visione.
Rottamando di fatto il Movimento, e mettendo in cantiere una nuova cosa.
Una cosa che verrà celebrata sul palco di Italia 5 stelle. Niente band improbabili, niente ospiti urlatori. Economisti, intellettuali, giornalisti faranno da corona al nuovo Capo politico.
“La Leopolda di Casaleggio”, la chiamano negli uffici al quarto piano della Camera, dove poco o nulla è noto, essendo l’elaborazione della nuova cosa gelosamente custodita a Milano.
Una cosa gialla, come le stelle del simbolo. Che sancisce la messa in liquidazione di un progetto. E l’apertura uno nuovo.
(da “Huffingtonpost”)
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