VITALIZI, L’UNICO MODO PER RINUNCIARVI DAVVERO SAREBBE STATO DIMETTERSI GIOVEDI
LE BALLE DEL M5S SULLA LORO RINUNCIA… I REGOLAMENTI DELLE CAMERE NON CONSENTONO LA POSSIBILITA’ DI UNA RINUNCIA INDIVIDUALE
“Diranno che non si può fare”, ha sentenziato beffardo Alessandro Di Battista al termine della conferenza stampa in cui i parlamentari grillini hanno chiesto ufficialmente ai presidenti dei due rami del Parlamento di rinunciare al vitalizio maturato oggi.
E difatti, non si può fare.
Regolamenti della Camera e del Senato alla mano, l’unico modo certo per rinunciare a questo diritto (o privilegio, a seconda di come la si pensi) sarebbe stato quello di dimettersi prima della maturazione dello stesso, prima cioè del fatidico D-day del vitalizio.
Ora, siccome tale iniziativa (questa sì, clamorosa) non è stata assunta da nessuno dei parlamentari pentastellati, vediamo in punto di diritto quale impatto, al di là di quello politico-propagandistico, potrà avere la lettera indirizzata dai grillini a Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Le richieste fondamentali sono due: la prima è di non percepire tout-court la pensione maturata oggi, e la seconda è che questo diritto possa maturare per i parlamentari sulla base dei requisiti, in termini di età pensionabile, previsti dalla legge Fornero (attualmente 67 anni, ma con scatti periodici determinati dall’aspettativa di vita).
Nel caso della legge Fornero, si tratta esattamente di quanto previsto dalla legge Richetti, attualmente ferma al Senato, che però introduce la novità a partire dalla prossima legislatura.
I pentastellati avevano chiesto di anticipare alla legislatura in corso, ma dal Pd è arrivato un diniego.
E’ evidente che tutto ciò, senza un intervento sui regolamenti interni dei due organi costituzionali (dotati della famosa autodichia), non potrà per il momento avvenire. L’attuale normativa è stata introdotta nel 2012, sotto le presidenze di Gianfranco Fini a Montecitorio e di Renato Schifani a Palazzo Madama e, ricordiamolo, ha esteso il sistema contributo ai parlamentari, che possono maturare il diritto di percepire un assegno mensile, a partire dai 65 anni, dopo 4 anni, sei mesi e un giorno di permanenza in carica. L’età si abbassa a 60 in caso di una seconda legislatura.
Gli stessi regolamenti, allo stato, non prevedono per gli eletti nè la possibilità di rinunciare a percepire la pensione maturata (a maggiore ragione col sistema contributivo, in virtù del quale i soldi appartengono al parlamentare e sono depositati presso l’apposito fondo della camera di appartenenza), nè di aderire ad altri regimi o ad altre casse (e questo non viene consentito nemmeno dalla Richetti).
Lo sa bene il conduttore televisivo Gerry Scotti, che qualche anno fa ha dichiarato di non voler più percepire il vitalizio maturato alla Camera quando era deputato nell’era craxiana ma che non ha potuto che prendere atto dell’impossibilità di farlo, e ha semplicemente deciso di non utilizzare per sè i soldi dell’assegno.
Di fatto, la lettera illustrata da Di Battista, si configura non propriamente come la comunicazione della decisione di rinunciare al vitalizio, ma piuttosto come la richiesta agli uffici di presidenza della due camere di introdurre nei regolamenti la possibilità di rinunciare espressamente e individualmente a percepire l’assegno, e di poter aderire ad altri regimi pensionistici.
Per il momento, l’unica strada percorribile resta quella di agire come per i rimborsi, incassando i soldi e destinandoli altrove.
E soprattutto comunicandolo oggi, e non tra 30 anni.
(da “Huffingtonpost”)
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