OLIMPIADI, EGUAGLIATA LONDRA, L’ITALIA RESTA NELLA TOP 10
BENE I TIRI E LE SQUADRE, DISASTRO ATLETICA E PUGILATO
Restiamo nel G10 dello sport. Il verdetto di sedici giorni olimpici ci regala ancora un posto nell’èlite mondiale grazie agli 8 ori conquistati (gli stessi di Londra e Pechino): le medaglie sono 28, un bottino totale uguale a quello di Londra, una in più di otto anni fa.
I Giochi di Rio confermano dunque la nostra dimensione, noni nel medagliere. Che tradotto nei premi pagati dal Coni fa 5 milioni e 400 mila euro lordi.
Le premesse alla seconda settimana, storicamente in salita per l’Italia, questa volta ci avevano ingolosito, invece, dopo l’ultimo oro arrivato a Ferragosto con Viviani, più nulla («l’ultima giornata è stata un po’ la fotografia della nostra Olimpiade, ma io sono soddisfatto, abbiamo fatto una bella figura” chiosa il presidente del Coni, Giovanni Malagò), anche se c’è la soddisfazione di aver portato tre squadre su quattro a podio e due di queste (volley maschile e Setterosa) fino all’argento.
E proprio il rendimento delle squadre rimarrà uno dei vanti di questa spedizione (la migliore dopo Atene 2004, dove però partecipavano otto squadre. Formidabile quell’anno).
Russia e Cina hanno perso in tutto 50 medaglie, noi siamo rimasti lì, attaccati alla nostra cifra. Gli sport dell’acqua e i tiri sono stati la nostra miniera, un soffio indietro che la scherma, deludente in un paio di punte. Patrinieri e Campriani i fenomeni indiscutibili.
E questa è la cornice. Poi c’è da avvicinarsi e scoprire le tinte che, insieme, danno il quadro. Siamo andati a medaglia in undici discipline, quattro in meno di Londra, due in meno di Pechino. Dal paniere olimpico sono usciti arco e canoa, ma sono entrati beach volley e lotta.
Rispetto al 2012 non abbiamo avuto ricambi per ginnastica, boxe, atletica e taekwondo.
Il taekwondo a Rio non aveva convocati, il buco nero è lo zero alle voci pugilato, ginnastica e atletica.
Soprattutto dal ring non sono venute le risposte che aspettavamo, è il peggior risultato da Atlanta 1996 e non aver assicurato un ricambio alla generazione d’oro (Russo, qui peraltro il migliore), Cammarelle e Valentino ci presenta il conto.
Sette pugili e neanche un podio, forse la più grande delusione di questa spedizione.
L’Italia della ginnastica è difficile da criticare, il quarto posto di Vanessa Ferrari è figlio di un suo errore, quello delle Farfalle sta più negli umori dei giudici che con noi, guarda un po’, sono sempre nerissimi.
Ci è mancato Tamberi
E poi c’è il vuoto assordante dell’atletica. Era dal 1956 che non arrivava uno zero. Cinque finalisti su 47 discipline sono una miseria se paragonati ai 38 convocati.
Oddio, a Londra ci salvò il bronzo di Donato, 37 anni, qui l’assenza di Tamberi ci ha tolto pure l’unica chance di salire sul podio.
I conti non tornano: siamo alle solite, i Giochi non sono una gita premio e se nessuno dei presenti ha migliorato il proprio personale (tolti le staffettiste della 4×400 e Giupponi nella marcia) significa che molto è da rifare, se non tutto.
La danese Petersen ha vinto l’argento nei 400 ostacoli femminili e la Danimarca ha tanti pregi, ma quanto a tradizione è messa peggio di noi. Con la tradizione ormai, però, non vai da nessuna parte, mica basta il Colosseo per stare al passo con il mondo.
Il presidente federale Giomi parla finalmente di cambio generazionale dal prossimo giro, il miglior risultato è della marciatrice Palmisano (quarta) e lei, in effetti, è una di quelle che ha il futuro in mano.
Il mondo dell’atletica non finisce mai di allargarsi, emergere è un’impresa.
Affondare però, per un Paese come l’Italia, anche.
Paolo Brusorio
(da “La Stampa”)
Leave a Reply