PASOLINI, OCCASIONE PERDUTA DELLA DESTRA: LA SOLITUDINE DELL’INTELLETTUALE
COMUNISTA ERETICO CON IDEE CARE AL FASCISMO IDENTITARIO… IL TOTALITARISMO REPRESSIVO ERA LA SOCIETA’ DEI CONSUMI
Ve lo ricordate lo spread? C’è stato un momento in cui le sue impennate turbavano il sonno di tutti gli italiani, persino quello della famosa casalinga di Voghera: «Oddio signora mia, ieri il tg ha detto che s’è alzato ancora!». «Che disgrazia! Chissà adesso a quanto arriveranno i peperoni». La cosa è andata avanti per qualche tempo, ma poi – tra venti di bocconiana sobrietà , lacrime della Fornero e sangue dei contribuenti – il famigerato differenziale è passato di moda.
Un po’ come i pantaloni a zampa e le pellicce di visone.
Adesso le parole d’ordine sono tornate ad essere quelle di sempre: bolle finanziarie e speculative, crisi internazionale, crollo dell’occupazione e dei consumi.
Concetti che rievocano le immagini indelebili del 2008, quelle dei trader che abbandonano con i cartoni in mano la sede della Lehman Brothers.
Ci hanno raccontato che è iniziato tutto da lì, che quella scena è il paradigma della fine di un’era. Ma non è vero, o almeno non del tutto.
La sensazione, infatti, è che – al di là degli algoritmi astratti degli esperti – la crisi che stiamo vivendo arrivi da molto più lontano e le sue radici vadano cercate più nella dimensione esistenziale che in quella finanziaria.
In sostanza, ciò che sembra essersi inceppato è proprio il nostro intero modello di sviluppo, fondato su una visione ostinatamente positivista e materialista del mondo.
Un sistema che postula benessere e felicità per tutti e che invece rischia di aver messo in moto, attraverso la logica perversa dei consumi, il meccanismo perfetto dell’infelicità .
Ebbene, tutto questo, uno degli intellettuali più significativi del XX secolo l’aveva previsto con largo anticipo, quando Angela Merkel era ancora poco più che adolescente e se ne stava con le grazie al vento sulle spiagge per nudisti.
Il personaggio in questione è Pier Paolo Pasolini, la cui straordinaria opera è celebrata in questi giorni a Roma con una grande mostra allestita fino al prossimo 20 luglio al Palazzo delle Esposizioni.
La rassegna – che si sviluppa cronologicamente in sezioni, così da tracciare tutto il percorso della straordinaria vitalità creativa dell’autore – fa parte di un progetto di respiro europeo attraverso il quale Barcellona, Parigi e Berlino si associano alla città eterna per riaccendere i riflettori sulla figura del poeta “corsaro”.
A noi piace pensare che la scelta di farlo proprio in un momento di crisi ed euroscetticismo come questo, non sia solo il frutto di una felice coincidenza.
Perchè Pasolini è colui che, forse meglio di chiunque altro, ha saputo cogliere le potenzialità distruttive insite nella nostra civiltà dei consumi e in quell’ideologia dell’edonismo di cui, probabilmente, oggi stiamo subendo tutti gli effetti.
La sua voce libera e coraggiosa ammoniva sui rischi di una mutazione antropologica che la produzione di massa avrebbe determinato.
Una voce solitaria e osteggiata un po’ da tutti: sicuramente dai comunisti, troppo distratti dalle convergenze parallele con la Dc per prestare la giusta attenzione alle contraddizioni sollevate dal loro eretico “compagno”.
Ma disprezzata anche dalla destra, per la quale Pasolini ha rappresentato sicuramente una straordinaria occasione perduta.
Il Movimento Sociale Italiano, infatti, fu totalmente incapace – se si esclude qualche illuminato come Beppe Niccolai – di superare il rozzo pregiudizio omofobo e cogliere la convergenza degli orizzonti ideologici del partito con molti dei temi cari al poeta di Casarsa.
Pasolini era un antifascista, certo, ed in tasca aveva la tessera del Pci.
Ma era anche uno spirito libero, lontano anni luce dalla figura gramsciana dell’intellettuale organico.
Era un italiano che cercava la verità ad ogni costo, senza mai pensare alle conseguenze.
Per questo non deve sorprendere l’apparente paradosso che fu proprio lui ad esprimere le critiche più feroci nei confronti della sinistra di quegli anni, e che molti dei contenuti dell’ideologia pasoliniana possono essere inquadrati in una prospettiva destrorsa.
Paradigmatica in questo senso è la battaglia del poeta per la conservazione dei luoghi del patrimonio nazionale, contro la distruzione dell’identità paesaggistica e urbanistica italiana.
Così come la difesa della poesia della tradizione, un tentativo appassionato di tutelare una verginità poetica dalla contestazione sessantottina.
È il Pasolini che a Valle Giulia simpatizza coi poliziotti. Il Pasolini reazionario e ferocemente critico nei confronti di una modernità che omologa gli italiani attraverso un modello culturale piccolo-borghese imposto dalla televisione.
Proprio in questo centralismo della civiltà dei consumi, e non nel regime mussoliniano, Pasolini scorge il vero totalitarismo repressivo che, abolendo ogni distanza materiale tra la periferia e il Centro, ha assimilato a sè l’intero Paese così differenziato e ricco di culture originali.
«Un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza».
Non è necessario uno sforzo particolare per cogliere in queste argomentazioni tutti i tratti fondamentali di quel fascismo di sinistra che trovò la sua massima espressione nella corrente di “Strapaese”: in pieno regime, scrittori e artisti come Maccari, Soffici e Ricci, sostenevano con qualche decennio d’anticipo le tesi di Pasolini, opponendo alla borghesia delle moderne liberal-democrazie la dimensione preindustriale italiana.
Una civiltà più semplice ma più vera, caratterizzata dalla stabilità dei ruoli e da un’armonia complessiva dove ogni individuo ha una collocazione precisa, un’identità e un senso.
In Petrolio il poeta descrive il fascismo come un modello culturale intriso di filosofia irrazionale e attraversato dal culto dell’azione, «forme attuali e logiche del Mistero corporale.
Nessuno di noi ne è esente, indenne o libero. Anche quando non lo vogliamo il passato determina le forme di vita che immaginiamo e progettiamo per il futuro».
Concetti significativi, punti di contatto evidenti con il Weltanschauung di una destra tradizionalista che però il partito di Almirante non seppe e non volle cogliere.
Forse perchè arrivavano da un “frocio comunista”, o forse perchè in quell’ambiente già covava la bramosia di potere che qualche decennio più tardi porterà la sua intera classe dirigente all’abiura di tutto il proprio patrimonio culturale nel nome della liquidità post-moderna della politica.
Ora, in ciò che resta di quel mondo c’è qualcuno che goffamente prova a tornare indietro, rispolverando vecchie bandiere e denunciando la tirannia di un centralismo economicistico europeo che ci sta distruggendo.
Il timore però è che siamo davvero fuori tempo massimo, perchè ciò che è accaduto in questi decenni si può riassumere con un’evocativa immagine dello stesso Pasolini: «è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire.
Adesso risvegliandoci, forse, da quest’incubo, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare».
Alessio Di Mauro
(da “Il Tempo“)
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