PER UN PUGNO DI DENARI: LA RESA DEI PARTITI SULL’ETICA
LA MAPPA DELLE INCHIESTE GIUDIZIARIE SU AFFARISMO E POTERE POLITICO RIVELA UN PAESE CORROTTO MORALMENTE
Prendiamo la cartina dell’Italia. Osserviamola con attenzione, concentrandoci non sulle aree verdi o marroni, ma sulle zone
grigio-nere. Non si tratta di una mappa in tradizionale, è piuttosto la fotografia di quella «commistione inestricabile di conflitto di interessi» che diventa spesso «mercimonio della funzione pubblica». I diritti d’autore dei virgolettati appartengono al giudice per le indagini preliminari firmatario dell’ordinanza d’arresto ai domiciliari per sei indagati dell’inchiesta milanese sull’Urbanistica, in cui è rimasto incastrato anche il sindaco Beppe Sala. Sono tuttavia parole applicabili lungo tutta la penisola.
Affarismo, conflitti di interessi, lobby parallele, favori in cambio di voti, soldi ai partiti, fondi europei agli amici, nomine clientelari, inopportune sovrapposizioni tra ruoli istituzionali e cariche in aziende che lavorano con il pubblico. Comportamenti che hanno in comune il protagonismo di sindaci, assessori, governatori di Regione, super manager nominati in base alla lealtà al padrino politico e non al merito professionale.
Ecco dunque che, seguendo questi criteri, sulla nostra cartina scovare il grigio che si fa nero è un gioco da ragazzi: la mappa delle inchieste giudiziarie su affarismo di vario genere e intrecci col potere politico rivela il volto più oscuro e corrotto del Paese. Corrotto, però, inteso non come categoria penale, piuttosto quale tendenza ad arraffare per il proprio circolo di fedelissimi, al di là di eventuali delitti.
A voler fare il giro d’Italia degli scandali e delle inchieste, c’è da restare a zonzo parecchi giorni: da Palermo a Milano, passando per Catanzaro, Potenza, Bari, Campobasso, L’Aquila, Perugia, Firenze, Pesaro, Venezia, Milano, Genova, Cagliari, è tutto un fiorire di accuse, sospetti, dubbi, questioni morali, di cui però ai
partiti sembra interessare poco o nulla.
Si è portati ormai a ridurre il tutto a formule di rito da dare in pasto ai social e alle agenzie di stampa: «Massimo rispetto per il lavoro della magistratura, ma…». «Aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso». «Non ha commesso alcun reato, perché dovrebbe dimettersi?». L’indolenza del nostro tempo è figlia di una politica debole e impoverita, subalterna perciò ai potentati economici e finanziari, sempre alla ricerca di risorse da quando il centrosinistra ha deciso di abolire il finanziamento pubblico ai partiti.
L’apatia è dominante rispetto a condotte che, seppure non violino la legge, pongono una questione di etica pubblica. E produce incapacità nell’esprimere una forte condanna sociale rispetto alla consuetudine patologica che prende il nome di conflitto di interessi. Cioè non si è più capaci di dare un giudizio sganciato dalla dimensione giudiziaria. E, visto che il conflitto di interessi non è reato, diventa usanza accettabile, tollerata. Forse i progressisti dovrebbero finalmente realizzare una loro promessa tradita: introdurre una legge che, dopo l’epoca berlusconiana, non sembra essere una priorità nonostante il fenomeno sia ancora più diffuso.
In tutte le recenti indagini giudiziarie emerge, prima ancora che il capo di accusa, un metodo di gestione del potere fondato sull’amichettismo. In Sicilia i meloniani di Fratelli d’Italia hanno veicolato fondi pubblici ad associazione e fondazioni legata al partito o ai familiari. Reato? Poco importa, di certo non è degno di un rappresentante delle istituzioni. A Milano, non sappiamo se la promiscuità di un pezzo del centrosinistra con costruttori e
finanzieri, che hanno fatto grandi affari in città, sarà giudicata penalmente rilevante: è però un sistema che dietro la parolina magica “rigenerazione” ha portato in scena il più classico dei sacchi edilizi.
Il giro di finanziamenti scoperti a Pesaro, dove è indagato l’ex sindaco Matteo Ricci (candidato del campo largo alla Regione Marche), magari non arriverà mai a processo: e dunque dobbiamo accettare che i soldi della collettività siano affidati a cooperative senza bandi sulla base di amicizie e conoscenze?
In Calabria i rapporti tra il governatore Roberto Occhiuto e il suo ex socio, i passaggi di quote societarie e di denaro, la poca distanza con i player locali della sanità privata potrebbero non essere reati, ma è lecito porre una questione di opportunità su quel groviglio di conflitti di interessi?
L’alternativa è il presente, cioè arrenderci all’ineluttabile destino di cui è ostaggio la politica: esprimersi solo sulla base di un verdetto in un’aula di tribunale.
(da agenzie)
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