PERCHE’ E’ RIDICOLA LA VERSIONE RUSSA DELL’ATTENTATO A DARIA DUGINA
I SERVIZI SEGRETI RUSSI AVREBBERO LASCIATO AGIRE INDISTURBATA PER UN MESE IN RUSSIA LA “SOLDATESSA DI AZOV”… E L’AUTO DELLA DONNA RISULTA ESSERE AL CONTEMPO A MOSCA E IN AUTOSALONE IN UCRAINA
I mandanti dell’assassinio di Anna Politkovskaya dopo 16 anni sono ancora sconosciuti, ma per scoprire chi ha ucciso la figlia di Dugin ci hanno messo due giorni scarsi.
E poco importa se la presunta colpevole è arrivata in Russia con un’auto che in quel momento era in vendita in Ucraina.
La rapidità con cui i servizi di sicurezza hanno identificato la presunta colpevole, i dubbi suscitati dalle prove addotte e la debolezza del movente rendono difficile comprare a scatola chiusa la versione del Cremlino.
Né d’altra parte le ipotesi alternative appaiono finora più sostanziate. L’unica cosa certa è che l’omicidio di Daria Dugina, figlia dell’ideologo e propagandista ultra-nazionalista Alexandr Dugin, erroneamente definito “la mente di Putin”, fa il gioco del Cremlino. Putin adesso può vantare una martire e giustificare ulteriori strette repressive, dicono gli analisti.
Secondo l’Fsb, erede del Kgb sovietico, a piazzare l’ordigno da almeno quattro etti di tritolo sotto il sedile dell’auto su cui viaggiava la Dugina e a farlo poi esplodere con un congegno a distanza è stata Natalia Vovk (o Shaban, come si legge in alcuni documenti diffusi da Mosca), additata come soldatessa del battaglione Azov e ufficiale del servizio segreto ucraino Sbu.
La ricostruzione però fa acqua da parecchie parti: i russi spiegano che la donna, 43 anni, è entrata nel Paese alla fine di luglio insieme alla figlia di 12 anni e a un gatto su una Mini Cooper a cui ha più volte cambiato la targa.
Ha poi pedinato Daria Dugina — perché proprio lei era l’obbiettivo e non il padre — e commesso l’attentato. Infine se ne è andata tranquillamente, con la stessa auto e con una targa ucraina: ha viaggiato da Mosca fino alla frontiera con l’Estonia, superata senza alcun problema.
“Credo che l’Fsb sia proprio l’ultima fonte di cui ci si possa fidare”, dice a Fanpage.it dalla capitale russa il politologo Andrei Kolesnikov del think tank Carnegie. “È particolarmente irritante, e francamente stupido, come vogliano farci credere che la presunta terrorista abbia fatto perdere le sue tracce entrando in Estonia, uno dei Paesi al momento più ostili nei confronti della Russia”. Passare il confine tra Russia ed Estonia significa essere sottoposti a controlli severi, soprattutto se si ha un auto con targa ucraina.
Il mistero della Mini Cooper
E proprio su quell’auto e su quella targa, immortalate in un video messo in rete dall’Fsb per dimostrare la colpevolezza della Vovk Shaban, sembra infrangersi l’ipotesi accusatoria: la stessa Mini Cooper, con la stessa targa, risultava in vendita in Ucraina sul sito Ria Auto almeno fino al 18 agosto, secondo una foto pubblicitaria che ritrae il cruscotto del veicolo con la data.
Fanpage.it ha potuto visionare la foto prima che l’avviso di vendita sparisse dal sito stesso.
È quindi difficilmente sostenibile che la Mini sia entrata in Russia alla fine di luglio, come affermato dall’Fsb. Che ha poi cercato di mettere una toppa alla falla spiegando che l’auto era effettivamente stata messa in vendita a Kyiv da un certo Danil Shaban, parente della Vovk.
Senza specificare quando. Ma sottolineando che anche Danil è del battaglione Azov. Tradizione familiare?
L’Fsb ha reso noto che Natalia Vovk Shaban era segnalata in un data base russo come soldatessa di Azov fin dall’aprile scorso. Come ha potuto entrare in Russia restandoci un mese, organizzare e perpetrare l’attentato e poi guidare per tutta la regione di Pskov verso l’Estonia fino ad attraversare la frontiera proprio dove è più sorvegliata?
A completare un quadro piuttosto squinternato contribuisce anche un documento di identità della Vovk Shaban messo in rete dall’Fsb: la donna appare in divisa della Guardia nazionale ucraina, i cui reparti sono addetti — almeno in tempo di pace — soprattutto a lavoro d’ufficio. Niente a che fare con Azov.
Come se non bastasse, il video fatto circolare dall’Fsb mostra la Vovk Shaban incurante davanti alla telecamera collegata al citofono dell’edificio dove — secondo l’accusa — avrebbe affittato una stanza per sorvegliare da vicino Daria Dugina.
Ora, a Mosca anche i bambini sanno che quelle telecamere effettuano una mappatura facciale per individuare le identità. Gli attivisti sorvegliati dalla polizia spesso usano mascherine chirurgiche per evitare di esser riconosciuti quando vanno a casa degli amici, per non comprometterli. Un’agente dell’Sbu nonché soldatessa di Azov già segnalata non prenderebbe qualche precauzione, trovandosi nella capitale russa per fare un attentato?
A qualcuno serviva un attentato
“Se fosse tutto vero quel che sostiene Mosca, questa vicenda dimostrerebbe un fallimento totale da parte dell’Fsb e dell’Mvd (il ministero dell’Interno russo, ndr)”, sostiene su Twitter uno dei maggiori esperti mondiali dei servizi di sicurezza del Cremlino, Mark Galeotti.
“È interessante notare come spesso Mosca sembri non accorgersi del pericolo che corre nel cercare di spiegare le proprie debacle con una narrativa che alla fine afferma la mera incompetenza dei suoi apparati”.
Il regime di Vladimir Putin sta solo maldestramente cercando di coprire gli errori commessi dai suoi servizi nel prevenire l’attentato che ha ucciso Daria Dugina? È probabile. Ma alcuni osservatori pensano addirittura a un’operazione di “false flag”.
Tutto organizzato da Mosca, insomma. Che sembra avere più motivi di Kyiv per volere un’operazione del genere. “La morte della Dugina fornisce alla Russia di Putin proprio quel che ancora le mancava: l’immagine di un sacrificio muliebre, la sua Giovanna d’Arco”, nota Andrei Kolesnikov.
“Naturalmente, tutto questo sarà considerato una buona ragione per una repressione ancora più dura del dissenso e dei nemici. Resta da vedere fino a che punto”.
Ma l’attentato di Mosca potrebbe anche avere matrici russe non strettamente governative. Tatiana Stanovaya, direttrice dell’istituto di analisi politica R.Politik, sottolinea come la ripercussione politica maggiore possa essere “la radicalizzazione della fazione più conservatrice della élite, che ha perso una dei suoi e può adesso reclamare vendetta, intransigenza totale e durezza contro i suoi nemici”. Insomma, ora si potrà chiedere a Putin di esser se possibile più fermo e implacabile. Da qui potrebbero nascere attriti anche forti ai vertici del potere, secondo la Stanovaya. Che comunque non esclude che dalle indagini possano ancora venire “sorprese”.
Piste alternative
Un’ipotesi da non scartare del tutto è quella di un regolamento di conti legato al giro di affari, soldi e politica che vede Alexander Dugin coinvolto col magnate Konstantin Malofeev, patron dell’emittente di estrema destra Tsargrad Tv e finanziatore di iniziative e organizzazioni in difesa dei cosiddetti “valori tradizionali” e del sovranismo populista in patria e all’estero, nonché dei separatisti del Donbass — con i quali mantiene stretti contatti politi e, probabilmente, finanziari.
Difficile invece pensare a un vero movente per Kyiv. Alexander Dugin non è certo “l’eminenza grigia di Putin”, come hanno scritto i giornali occidentali. Putin non lo conosce né ha mai avuto bisogno di sue consulenze, per rendere la Russia un “totalitarismo ibrido” — per dirla con Kolesnikov — e decidere l’invasione dell’Ucraina. Dugin è più famoso in Occidente che in Russia e a Kyiv. E non ha alcun potere decisionale — hanno fatto notare fonti dell’amministrazione di Volodymyr Zelensky. Perché colpirlo? Solo perché non aveva la scorta? Motivazione debole, per un attacco temerario nel cuore del Paese nemico. Ancora più debole, la motivazione, se l’obbiettivo era davvero la figlia Daria, propagandista ancor meno nota e ancor meno importante per peso politico e ideologico.
(da Fanpage)
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