PERCHE’ I RITARDI DEL RECOVERY MINACCIANO I CONTI PUBBLICI
LE PREVISIONI DI MAGGIORE ENTRATE FISCALI DIPENDONO DAL REALE FLUSSO DI DENARO DALLA UE
C’è un meccanismo con qualche dose di rischio per i conti pubblici nella catena che lega il Recovery Plan, la crescita e i conti pubblici. I ritardi cumulati a causa della contesa politica su chi gestirà le risorse e come saranno articolati i 209 miliardi del NextGeneration Eu hanno indotto il ministro dell’Economia Gualtieri e gli uomini della Ragioneria generale dello Stato, a dare vita ad un piano B contabile: all’interno della legge di Bilancio è stato creato un Fondo di rotazione di 34,7 miliardi per il prossimo anno dal quale si potrà attingere per attivare fin dal 1° gennaio del 2021 quanto serve per finanziare gli interventi del Recovery Fund in attesa che arrivino le risorse europee.
Fin qui tutto bene ma nella recente audizione sulla legge di Bilancio, il presidente dell’Upb, l’autorità sui conti pubblici, Giuseppe Pisauro, ha segnalato un crepa nella costruzione evocando la mancanza di una “chiara esplicitazione” e di “informazioni sufficienti”.
Qual è il punto? E’ tecnico nella sua conformazione ma piuttosto semplice da capire quanto agli effetti.
Il Fondo per anticipare nel prossimo anno gli incassi dei soldi europei è stato contabilizzato nel cosiddetto “saldo netto da finanziare” ma non è stato considerato nelle colonne accanto che rappresentano il fabbisogno e il deficit e di conseguenza non è stato contabilizzato il suo effetto sulla crescita del debito e del deficit.
Dunque se il Recovery dovesse ancora tardare, e le risorse manifestarsi dopo la metà del prossimo anno, il Fondo si tramuterebbe in una sorta di promessa mancata: dovrebbe essere alimentato con nuove emissioni con i 77 miliardi della Tesoreria ma rimarrebbe a secco dalle risorse europee.
Servizio Bilancio del Parlamento nel suo dossier sulla manovra non si è fatto sfuggire la questione e ha osservato che il Fondo di rotazione potrebbe non produrre effetti su fabbisogno e deficit – come emerge dal testo della manovra – solo se “per l’attuazione delle misure si determini la medesima tempistica nell’acquisizione e nell’erogazione delle risorse”.
In altre parole il Fondo può evitare di essere contabilizzato per 34,7 miliardi in debito e deficit solo se si è sicuri che il prossimo anno a fronte di ogni spesa sarà pronto il finanziamento del Recovery.
A dire il vero c’è una via d’uscita, ma incerta: cioè la possibilità che il governo conti, soprattutto nel 2021, di attingere dalla parte sovvenzioni a fondo perduto del Recovery plan e in questo caso il transito nel deficit e nel debito non sarebbero necessari in quanto trattasi di grant o doni.
Ma possiamo esserne sicuri? Finchè il piano non sarà formalizzato con Bruxelles rischiamo una coltre di incertezza sui conti pubblici.
La catena di causa-effetto che parte dal Recovery va ad impattare su un secondo problema, anche questo ben segnalato dall’Upb.
Agli investimenti del Recovery Fund viene attribuito un effetto importante sul quadro economico, pari a poco meno di un punto nel 2022 e nel 2023: questa crescita – per quello che i tecnici chiamano effetto di retroazione – dovrebbe garantire coperture (definite “inusuali” dall’Upb) in termini di Irpef e contributi per 12,9 miliardi nel 2022 e 20,5 l’anno successivo.
Nessuna paura per il prossimo anno e il Tesoro assicura, come per i rilievi della Commissione sullo stesso tema, che non ci sono problemi perchè le entrate in questione riguardano il biennio successivo quando presumibilmente gli effetti del Recovery si saranno verificati. Ma certamente il rischio c’è e la soluzione sta nelle mani del governo: accelerare sul Recovery Plan.
(da “La Repubblica”)
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