PIANO SALVA EURO, IL FEDERALISMO SI ALLONTANA: LA PRIORITA’ E’ TENERE SOTTO CONTROLLO IL DEBITO E LE CASSE DELLO STATO
TREMONTI FA CAPIRE CHE IL FEDERALISMO COSTA E IN QUESTO MOMENTO I PROBLEMI SONO ALTRI… MENTRE BERLUSCONI CERCA DI PRENDERSI ANCHE IL MERITO DELL’ACCORDO SALVA EURO, I LEADER EUROPEI AUSPICANO UNA POLITICA DI RIGORE DEI BILANCI PUBBLICI… MA RIMANGONO LE DIVERGENZE TRA LE ECONOMIE EUROPEE
Ovviamente, secondo la nota di Palazzo Chigi, un “impulso fondamentale ai negoziati sul piano di salvataggio dell’euro l’ha dato Berlusconi quando, poco prima dell’ 1 di notte, ha chiamato al telefono la cancelliera Merkel. Le trattative si stavano arenando sulle diverse proposte”.
Ti pareva che il premier italiano non fosse stato determinante anche questa volta e non rivendicasse, con la modestia che gli è propria, un suo intervento decisivo.
In verità ci saremmo attesi che gli altri Paesi riconoscessero tale suo apporto, ma o se ne sono dimenticati o forse non c’è stato, visto che sia la Germania che la Francia, con meno enfasi e maggiore eleganza, pur avendo avuto entrambe un ruolo decisivo, evitano di attribuirsi meriti particolari affermando che “il maxipiano era necessario per garantire un futuro all’euro: ora occorre però attaccare i problemi alla radice e combattere realmente le cause di tensione che gravano sulla moneta unica”.
Nel frattempo la Banca europea afferma che ora “si aspetta una politica di rigore nei bilanci pubblici dei governi europei”.
In realtà , il piano messo a punto risolve i problemi nell’immediato, ma non certo le divergenze di fondo tra le economie europee.
L’agenda di Giulio Tremonti, riveduta e corretta nelle ultime ore a causa del crollo delle borse e delle tensioni sui deficit pubblici, ha ora una solo priorità : salvaguardare i conti.
Al Tesoro danno per scontato che il dossier sul federalismo fiscale subirà una robusta frenata.
Una doccia gelata per il giocattolino della Lega che ora avrà i suoi problemi a spiegare che il federalismo fiscale “non si può fare in questo periodo perchè ha costi troppo alti”.
Si scopre finalmente che “nelle sue prime fasi, il federalismo presenta costi certi, non ancora quantificati peraltro, mentre i benefici (ipotetici) appaiono lontani nel tempo. Oggi sarebbe da matti spendere un solo euro nell’attesa di un futuro migliore: non possiamo allentare la cinghia neanche di un centimetro, altrimento presto saremmo costretti ad altri buchi”.
E giustamente qualche economista osserva: “per il federalismo ci vorranno altri sette anni se va bene: per affrontare le crisi nazionali e internazionali è meglio mettere mano alla riforma fiscale subito. Semplificazione delle aliquote, rapporto contribuente-fisco, accertamento: in un anno una riforma in tal senso renderebbe il nostro Paese competitivo”.
Altri cominciano a chiedersi “che tipo di imposte potranno un domani stabilire le Regioni, non essendo precisato nulla: si rischierebbe una Babilonia di tributi locali e un aumento della pressione fiscale a danno dei cittadini”. Qualcuno finalmente ricorda che per porre un freno ai buchi della spesa sanitaria in certe regioni del Sud (problema reale), non è necessario aspettare dieci anni il federalismo: basterebbe commissariare le amministrazioni locali che non sanno tenere i conti in ordine.
Come? Rispondono gli esperti: sospendendo le autonomie locali e centralizzando le decisioni.
Insomma il rimedio opposto al bluff federalista.
Tempo duri per le favole leghiste, insomma: la crisi sta facendo aprire gli occhi a molti, anche a chi non voleva vedere o amava vivere con gli occhi foderati di prosciutto (padano, ovvio).
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