PISTOLA SCARICA
MATTARELLA SEGNALA TIMORI E CORRETTIVI SULLA LEGITTIMA DIFESA, LA LEGGE VIENE DEMOLITA E ORA IL M5S GONGOLA (DOPO AVERLA VOTATA)
Quando Matteo Salvini ha letto la lettera che il Quirinale ha inviato al Parlamento contestualmente alla firma sulla legge della legittima difesa, ha tirato un sospiro di sollievo e si è irritato.
Perchè, dopo averla compulsata con i suoi, da un lato ha preso atto che le parole di Sergio Mattarella non snaturano l’impianto del provvedimento. Dall’altro il Capo dello stato ha del tutto stroncato qualunque possibile tipo di propaganda sul filo del “la difesa è sempre legittima” già strombazzato dalle camicie verdi fin dal momento della presentazione.
“Va preliminarmente sottolineato che la nuova normativa non indebolisce nè attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia”, scrive il presidente della Repubblica.
Poi il passaggio decisivo: “L’art.2 della legge, modificando l’art.55 del codice penale, attribuisce rilievo decisivo ‘allo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto’: è evidente che la nuova normativa presuppone, in senso conforme alla Costituzione, una portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta”. Insomma: stop alla propaganda del si può sparare sempre e comunque messa in piedi dagli uomini del Carroccio.
Passa qualche decina di minuti, ed ecco la risposta del ministro degli Interni: “Io ascolto con interesse estremo i rilievi del capo dello Stato, ma la legittima difesa è legge dello Stato e i rapinatori da oggi sanno che se entrano in una casa, un italiano può difendersi senza rischiare di passar anni davanti a un tribunale in Italia”.
Una risposta tutta politica, che mostra le spallucce al Colle e tocca il tasto che più sta a cuore al Capo dello stato. Perchè il suo non è un anatema, ma un invito stringente soprattutto ai magistrati affinchè il “turbamento” derivante dal “pericolo” richiamato dalla legge non sia un dato di fatto assodato in tutti i (pochissimi) casi di reazione a un’effrazione, ma abbia solidi argomenti oggettivi da riscontrare in sede giudiziale.
Nessuna licenza di uccidere, insomma, ma uno stato che attraverso le forze dell’ordine e l’amministrazione della giustizia deve conservare uno stretto monopolio sull’uso della forza, tranne rare e giustificate eccezioni.
Salvini sa che è sul versante della penetrazione del messaggio securitario nell’opinione pubblica che passano i dividendi elettorali del provvedimento. E così la macchina del Carroccio si mette subito in moto per arginare un’eventuale inerzia in senso opposto.
Esce l’Associazione nazionale magistrati, che plaude il Colle. Esce l’Unione dei penalisti italiani, che spiega come l’intervento di Mattarella vanifichi gli effetti della riforma.
Gongola il Movimento 5 stelle: “La pistola di Salvini ora è scarica”, gongola un uomo molto vicino a Luigi Di Maio sorridendo.
Sono note le riserve del Guardasigilli Alfonso Bonafede sul testo, e la glaciale freddezza con la quale le truppe stellate hanno accolto l’approvazione sia alla Camera sia al Senato. Proprio il sottosegretario a 5
stelle del ministero della Bongiorno, Mattia Fantinati, spiega ad Huffpost: “Il presidente richiama giustamente quei valori nei quali crediamo e per i quali la sicurezza non può appiattirsi su approcci sicuritari”. E continua: “La vera sicurezza la fai con le politiche che combattono le cause sociali del crimine, non certo con la repressione muscolare o, peggio, con la proliferazione delle armi”. Universi paralleli.
Il disinnescarsi di un argomento forte di propaganda fa gioco ai pentastellati. E si inserisce nel quadro turbolento delle polemiche tra gli alleati, deflagrate sui porti chiusi e che hanno raggiunto l’apice con il caso che ha coinvolto Armando Siri.
Un quadro nel quale i 5 stelle cercano di tessere una tela che gli dia un solido ancoraggio al Colle. Per accreditarsi come interlocutori privilegiati della maggioranza, certo. Ma anche per avere più carte da giocare in caso di crisi. Che nessuno, nei conciliaboli di Palazzo, è più disposto a giurare che alla fine non ci sarà .
(da “Huffingtonpost”)
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