PIÙ CHE DELL’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA, GIULI DOVREBBE PARLARCI DELLA EGEMONIA DELL’AMICHETTISMO
PIAZZATI I FEDELISSIMI E GLI AMICHETTISSIMI (LA PROSSIMA SARÀ LA DIRETTRICE VENEZI IN ARRIVO ALLA FENICE), LA DESTRA MELONIANA NON È RIUSCITA A INTACCARE NÉ LO STRAPOTERE BARONALE DELLE UNIVERSITÀ NÉ LE NOMINE DIRIGENZIALI DEL MIC
Camaleontica e gattopardesca, la cultura dell’Italia delle destre è così simile a quella della cinquantennale egemonia culturale della sinistra che fatichi a distinguerle. L’industria culturale – editoria, festival e dintorni – resta sempre in gran parte in mano alla Sinistra, ma nelle due aree culturali dove la politica può incidere, ovvero docenza universitaria e direzione di musei e teatri, il Governo Meloni non ha, per ora, apportato cambiamenti metodologici.
A comandare, ove possibile, è sempre l’amichettismo – per cui via la Melandri arriva Giuli, via Cicutto o Baratta e arriva Buttafuoco… prima o poi anche la direttrice del lato B Venezi andrà a posto (voci insistenti la danno in arrivo alla Fenice di Venezia). Poi mancherà ancora Ludovico Casellati, ma i La Russa e molti altri sono ormai a posto.
Quando non sono nomine dirette, nel rispetto costituzionale a comandare sono i cosiddetti concorsi (universitari e di direzione del Mic), i cui bandi e regole sono scritte per far continuare le logiche baronali in università e il trionfo di un “anonimo” deep-state in soprintendenze, musei, parchi archeologici…
All’inizio della sua avventura politica, Berlusconi aveva tentato, con qualche intellettuale bendisposto, un timido approccio di cultura liberale: libere università, scuole aziendali, chiamate indipendenti ai Beni culturali (Mario Resca veniva da McDonald’s), coinvolgimento dei privati e degli apparati confindustriali.
Ma tutto, presto si arenò, privilegiando la televisiva cultura dell’intrattenimento, un corrispettivo moderno degli alberi della cuccagna che portava più voti di festival letterari, pagine culturali, mondo di scrittori, architetti, teatri di prosa, cinema… insomma dell’intera cittadella culturale lasciata presto ancora in mano alla sinistra (da cui i vari Saviano, Murgia, Veronesi, Valerio e compagnia bella).
Piazzati i fedelissimi, gli amichettissimi, pare che la destra meloniana ormai da anni al potere non riesca, o non intenda, tracciare – dopo un Piano Mattei – anche un… che so Piano Olivetti o, almeno, un pianoro o un falsopiano culturale. Per attestarlo basta guardare i bandi di concorso di università e quelli per le nomine dirigenziali del Mic.
Nel primo caso non si è messo mano allo strapotere baronale che agisce per cooptazione: si continua a scegliere il figlio di…, l’amante di…, la studentessa-segretaria e li si avvia al cursus
honorum con inutili pubblicazioni, dottorati pilotati, borse post-doc fatte arrivare all’uopo, posto da ricercatore a tempo determinato, poi indeterminato ecc.
E pensare che, per modificare questo perverso meccanismo basterebbe una semplice regola: per ogni chiamata di un personale già strutturato ogni ateneo deve mettere in ruolo uno studioso non strutturato (magari con abilitazione scientifica) o individuo di chiara fama proveniente dal mondo del lavoro.
Stessa cosa per la direzione di musei e teatri. I bandi – di settimana scorsa quelli per la direzione di venti musei – continuano a richiedere (art.2, punto e) una esperienza quinquennale alle dipendenze della pubblica amministrazione, parametro sostanzialmente sine-qua-non per diventare direttore di un museo.
Quindi, niente chiamate di nomi che si ritengono adatti, meritevoli o di fama, che so… Obrist per un museo d’arte contemporanea, un grande editore o scrittore ai Beni librari.
Qui è il deep-state a dare le carte con la longa manus dei ministri che nominano le commissioni di selezione, in genere formate da archeologi e avvocati già alle dipendenze del ministero.
Quando le commissioni non piacciono, a volte le si cambia senza nemmeno avvisare i commissari che stanno lavorando (è successo). Si è visto l’esito di questi concorsi nel caso dell’assegnazione di “128 risorse dirigenziali di seconda fascia” (ovvero direttori di archivi, biblioteche e musei) del 26 maggio scorso: un trionfo di burocrati promossi o spostati a seconda di vaghi desiderata (la direttrice dei Beni librari della Lombardia, Annalisa Rossi, nota oppositrice all’abbattimento dello stadio di San Siro, per esempio è stata spostata in Toscana).
I giornali non ne hanno parlato perché il burocratume che ingessa il Paese è incomprensibile e va bene sia alla destra (che non sa cercare i meritevoli) che alla sinistra (i burocrati sono per lo più suoi).
Così come giornali o magistratura non hanno certo i fari accesi sui baroni che “brindano a champagne” nell’accordarsi su chi deve vincere un concorso (di medicina, per giunta!): rinviati a giudizio vengono assolti, premiati con ruoli di rettori o di presidenti di società pubbliche.
È chiaro che, così, non si fa alcuna politica culturale e si procede nel solco dell’egemonia culturale della sinistra. Tanto che sarebbe meglio togliere l’aggettivo culturale e parlare di una semplice e perenne egemonia dell’amichettismo e della burocrazia.
(da Dagoreport)
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