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“POLITICO.EU”, INFILA IL DITO NELLA PIAGA CON UNA APPROFONDITA RICOSTRUZIONE DEL CLAMOROSO RILASCIO DEL TORTURATORE LIBICO, ARRESTATO IN ITALIA E POI RIMPATRIATO CON VOLO DI STATO NEL GIRO DI 48 ORE

“PER I FUNZIONARI ITALIANI AL-MASRI È UNA RISORSA UTILE. MOLTI HANNO CONSIDERATO IL RILASCIO COME UN SIMBOLO DELL’APPROCCIO MORBIDO DI ROMA NEI CONFRONTI DEI FUNZIONARI LIBICI” … L’INDAGINE DELLA MAGISTRATURA PER FAVOREGGIAMENTO E ABUSO DI UFFICIO PER USO DI UN JET DEI SERVIZI SU MELONI, NORDIO E PIANTEDOSI DESTINATA AL NULLA DI FATTO (IL DESTINO DEL PROCESSO DIPENDE DAL PARLAMENTO, DOVE IL CENTRODESTRA HA LA MAGGIORANZA)

Quando Osama Al-Masri Njeem è stato arrestato a gennaio, sembrava un turista qualunque in vacanza in una città europea
Il 45enne era appena tornato da una partita di calcio della Juventus a Torino quando le autorità italiane hanno fatto irruzione nel suo Holiday Inn e lo hanno sequestrato in risposta a un mandato di arresto della Corte penale internazionale con l’accusa di omicidio, stupro e tortura.
Secondo la Corte penale internazionale, Al-Masri non era un ricco vacanziere del Mediterraneo, ma il responsabile di una delle prigioni più letali della Libia.
Quando la notizia del suo arresto è arrivata in patria, la gente del posto l’ha vista come una rara occasione per chiamare a rispondere delle proprie azioni uno dei tanti uomini di potere che avevano gettato il Paese nella miseria
Ma questa speranza si è rivelata effimera: nel giro di 48 ore, l’Italia lo ha misteriosamente rilasciato – una mossa che si sta trasformando in un importante test di responsabilità per il rapporto tra il Primo Ministro Giorgia Meloni e la nazione nordafricana distrutta dalla guerra.
La sorprendente decisione – da parte di un governo che ama essere considerato duro nei confronti del crimine organizzato – ha scatenato una reazione furiosa da parte di attivisti, media e opposizione.
Il 28 gennaio, lo scandalo ha subito un’ulteriore svolta drammatica quando Meloni ha annunciato di essere indagata dai pubblici ministeri italiani per favoreggiamento del rimpatrio di Al-Masri, insieme al ministro della Giustizia Carlo Nordio e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
È accusata anche di abuso d’ufficio, a causa dell’uso di un jet governativo per il rientro del signore della guerra.
Le fasi preliminari di quella che è già diventata un’indagine altamente politicizzata sono ora in corso, con i giudici che raccolgono le prove per determinare se il caso debba procedere a un tribunale formale – anche se ciò sembra improbabile, dato che la decisione sarà in ultima analisi nelle mani dei parlamentari.
Il 10 febbraio, la CPI ha avviato un’inchiesta chiedendo al governo italiano di spiegare perché il Paese ha rilasciato Al-Masri invece di inviarlo all’Aia.
L’11 febbraio, i partiti dell’opposizione hanno presentato una mozione di sfiducia congiunta contro Nordio in seguito alle sue giustificazioni contraddittorie per il rilascio di Al-Masri.
“Il caso Al-Masri” ha provocato anche una feroce reazione della Meloni, che ha sfruttato l’inchiesta per amplificare una campagna contro la magistratura italiana che si è fatta sempre più feroce.
Allo stesso tempo, ha sollevato seri interrogativi sulla misura in cui i funzionari italiani sono disposti a scendere a compromessi sgradevoli per proteggere gli interessi in una regione dilaniata dalla guerra e dalla corruzione.
Dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, la Libia è rimasta divisa tra amministrazioni in lotta tra loro e legate a potenti milizie, rendendola vulnerabile
all’influenza straniera, in particolare dell’Italia.
Roma ha mantenuto i suoi legami di epoca fascista con il Paese fino al XXI secolo, sviluppando importanti accordi petroliferi attraverso la sua principale azienda energetica Eni e collaborando con i leader delle milizie per controllare i flussi di migranti verso l’Europa.
A seguito della guerra civile nel Paese, l’Italia ha firmato la Dichiarazione di Tripoli nel 2012, impegnandosi a sostenere la ricostruzione della Libia e ad addestrare le forze del Paese. Nel 2017 l’allora primo ministro Paolo Gentiloni ha firmato il Memorandum Italia-Libia, un controverso patto migratorio che finanzia ed equipaggia la Guardia costiera libica […], […] automaticamente rinnovato nel 2019 e nel 2023.
Da quando è entrata in carica nel 2022, Meloni ha rafforzato questi legami, firmando un accordo sul gas da 8 miliardi di dollari nel 2023 e lanciando una strategia nel 2024 per aumentare l’influenza dell’Italia in Africa. Il piano prende il nome da Enrico Mattei […]
Secondo i documenti giudiziari visionati da POLITICO, Al-Masri è salito al potere combattendo le forze di Gheddafi nel 2011, quando ha preso il controllo dell’aeroporto più importante del Paese, Mitiga, e lo ha trasformato in un vasto centro di detenzione dove la Corte penale internazionale afferma che le sue forze hanno commesso stupri, torture e violazioni dei diritti umani.
Ma per i funzionari italiani e occidentali Al-Masri era un’altra cosa: una risorsa utile.
Sotto la sua sorveglianza la prigione è diventata una fonte vitale di intelligence per i governi stranieri, con visite regolari di spie per interrogare i militanti del gruppo dello Stato Islamico e altri detenuti radicali.
Al-Masri, in particolare, è diventato un intermediario ricercato, alimentando la convinzione “arrogante” che sarebbe stato al sicuro sul suolo europeo, secondo un libico che conosce il modo in cui operano i leader delle milizie, parlando a condizione di anonimato per evitare ritorsioni
Persone come Al-Masri “vogliono andare in vacanza in Europa, vogliono godersi i loro soldi”, ha detto la persona. Secondo i documenti del tribunale, Al-Masri sembra avere accesso alla Gran Bretagna e possiede conti bancari nel Regno Unito presso Barclays e HSBC.
Per questo motivo, molti hanno considerato il rilascio anticipato di Al-Masri come un simbolo dell’approccio morbido di Roma nei confronti dei funzionari libici.
“Il governo italiano mi ha reso vittima per la seconda volta”, ha dichiarato il migrante sud-sudanese Lam Magok Biel Ruei, che ha aggiunto di aver sofferto personalmente per mano di Al-Masri e di aver presentato una denuncia contro il governo italiano, accusandolo di aver permesso crimini di guerra
Parlando a POLITICO da Roma, dove attualmente vive, Ruei ha ricordato di essere stato torturato da un comandante nella prigione di Mitiga. “Mi ha colpito con un bastone. Mi ha tolto una croce dal collo e mi ha colpito. Mi torturava sulle gambe… e diceva ai suoi soldati di fare lo stesso. Ho cercato di fuggire”
Ha aggiunto che il ritorno di Al-Masri in Libia incoraggia altri criminali di guerra. “Quando lo hanno rimandato indietro, significa che l’Italia gli ha dato il potere di andare a continuare il suo lavoro, a torturare le persone”, ha detto, aggiungendo di temere per gli altri migranti detenuti in Libia.
Claudia Gazzini, esperta di Libia presso l’ONG Crisis Group per la risoluzione dei conflitti, ha affermato che l’arresto iniziale di Al-Masri da parte delle autorità italiane è stato incoraggiante per i libici comuni.
“Molti libici speravano che avrebbe portato a una qualche forma di responsabilità, ma così non è stato”, ha dichiarato. “Il messaggio che il suo rilascio ha inviato è che esiste un certo grado di impunità e che alcuni Paesi lo salvaguardano”, ha aggiunto Gazzini.
In loro difesa, la Meloni e i suoi alleati hanno insistito sul fatto che Al-Masri aveva poco a che fare con la strategia del governo sui migranti.
Ma questo non ha fatto altro che aggiungere ulteriore confusione alla decisione di riportarlo in Libia, per la quale hanno offerto una frustrante serie di spiegazioni segrete.
Il 28 gennaio, in un video in cui annunciava di essere sotto inchiesta, la Meloni ha affermato che il ritorno di Al-Masri era stato necessario per motivi di “sicurezza nazionale”.
Il 3 febbraio, invece, riferendo sul caso al Parlamento italiano, il ministro della Giustizia Nordio ha attribuito la colpa del rilascio di Al-Masri ai documenti contraddittori inviati dalla CPI, che secondo lui erano per lo più in inglese e in arabo e quindi di difficile comprensione.
I critici trovano queste argomentazioni difficili da credere. Gazzini si è detta sorpresa dall’affermazione secondo cui il Ministero della Giustizia italiano avrebbe trovato incongruenze nel documento che ha faticato a tradurre, dato che il documento della CPI era “semplice, con solo piccoli errori di battitura”.
Ha aggiunto che il governo italiano, come altri Stati, aveva già esaminato e approvato in precedenza i mandati della CPI spiccati contro i libici, e avrebbe potuto aspettare che gli errori venissero corretti o riarrestare il militante anche se c’era un errore procedurale.
L’autrice ha inoltre messo in dubbio l’idea che il militante rappresentasse una minaccia immediata per la sicurezza nazionale, come sembra suggerire la Meloni, sottolineando che non si trattava di un terrorista, ma di un alto funzionario ben inserito che si era recato in Italia principalmente per assistere a una partita di calcio.
Ma negli ambienti governativi ci sono pochi dubbi sul fatto che il rilascio di Al-Masri sia stato effettuato per proteggere quelle vitali relazioni intermediterranee, anche se si riconosce che la vicenda è stata gestita in modo incompetente, secondo quanto dichiarato da diversi funzionari di alto livello con cui POLITICO ha parlato.
La Meloni ha avuto immediate preoccupazioni per la sicurezza. Solo pochi giorni prima il premier aveva assicurato il rilascio della giornalista italiana Cecilia Sala, che era stata rapita dalle autorità iraniane – e c’era il timore che una cosa simile potesse accadere al personale dell’ambasciata italiana a Tripoli, secondo due persone che hanno familiarità con la questione.
Ai dipendenti dell’ambasciata […è già vietato uscire, tranne che per viaggi diplomatici di alto livello, e c’è un timore persistente sulla sicurezza del personale consolare nel Paese che risale all’attacco mortale all’ambasciata statunitense di Bengasi nel 2012.
Un esperto ritiene che il governo italiano avrebbe potuto avvalersi delle norme sul segreto di Stato che gli avrebbero permesso di mantenere il silenzio sull’intera vicenda. “Avrebbero dovuto dichiarare immediatamente che si trattava di una questione di interesse nazionale. Imporre il segreto di Stato e chiudere il caso”, ha detto Giovanni Orsina, professore di storia contemporanea all’Università Luiss di Roma.
Invece, ha aggiunto, il governo “si è rifugiato dietro i cavilli legali, e credo che sia stato questo l’errore perché, invece di risolvere la questione, l’ha resa molto più complicata”.
Contattato da POLITICO, il governo italiano non ha risposto a una richiesta di commento.
In tutta la vicenda, una cosa è rimasta costante: gli attacchi spesso febbrili della Meloni alla magistratura.
Il premier ha da tempo assunto un atteggiamento contraddittorio nei confronti della magistratura italiana, a partire dagli attacchi dello scorso anno ai giudici dell’immigrazione di Roma che avevano respinto la richiesta di trattenere i migranti in un “centro di rimpatrio” in Albania.
La schermaglia ha scatenato una battaglia a distanza tra la Meloni e i tribunali e ha intensificato i discorsi sulla riforma giudiziaria.
Questa tattica trumpiana – negare e contrattaccare – è sbocciata nel caso Al-Masri.
In un video sui social media in cui annunciava di essere indagata, il premier ha cercato di collegare il magistrato inquirente Francesco Lo Voi a un processo fallito contro il vicepremier Matteo Salvini e ha insinuato l’esistenza di legami tra Luigi Li Gotti, l’avvocato calabrese dietro la denuncia che ha portato all’inchiesta sul suo operato, e l’ex premier di centrosinistra Romano Prodi.
Li Gotti, ex attivista di destra diventato politico di centro-sinistra, ha negato le accuse, affermando che la sua denuncia si basava su resoconti giornalistici di un reato.
Ha dichiarato a POLITICO di non aver mai incontrato Prodi e di aver presentato la denuncia contro la Meloni perché rispecchiava le politiche che hanno portato all’annegamento di migranti naufragati al largo della costa meridionale italiana nel 2023, a cui aveva assistito personalmente.
In particolare, anche la Meloni ha fatto eco agli Stati Uniti gettando disprezzo sulla Corte penale internazionale, accusandola di aver preso di mira il suo governo emettendo il mandato di arresto solo quando Al-Masri si trovava sul territorio italiano e rifiutandosi di sostenere la Corte dopo le recenti sanzioni di Trump.
Nonostante la controversia, secondo gli osservatori è improbabile che l’indagine progredisca. L’avanzamento del processo dipende dall’approvazione del Parlamento italiano, che è dominato dalla coalizione della Meloni e che è riuscito a far passare il processo come un attacco di parte.
“Anche se il Tribunale dei Ministri procede, il Parlamento deve votare e con questa maggioranza lo bloccherà”, ha detto Orsina.
“È facile, quando si denuncia un politico, dire che si tratta di un atto politico”, ha sottolineato Li Gotti.
“Ma io ho compiuto un [atto] giudiziario… L’ho denunciata perché c’era un reato, che io sostengo. Quando un politico commette un omicidio, non credo che denunciarlo sia un atto politico. È un crimine”.

(da agenzie)

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