PREMIERATO, TUTTE LE OBIEZIONI DEI COSTITUZIONALISTI, COMMA PER COMMA
IL GIUDIZIO NEGATIVO DI CASSESE, MIRABELLI, FLICK, PINELLI, CLEMENTI E LIUCIANI
Il testo di riforma costituzionale è stato appena approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. Ha scatenato una serie di obiezioni dei costituzionalisti, sin dal momento in cui sono emerse le prime bozze. Suscita perplessità innanzitutto l’elezione diretta del premier, ma seguono una serie di altri distinguo, tutti fatti con dovizia di argomentazioni. Vediamo quali.
ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER
Cosa prevede la riforma. Il presidente del Consiglio, che fino a oggi è stato nominato dal presidente della Repubblica a seguito di un giro di consultazioni fatte per accertare che ci fosse una maggioranza, sarà “eletto a suffragio universale e diretto”. Saranno quindi i cittadini a eleggere direttamente il premier. Il presidente della Repubblica gli darà mandato di formare il governo.
Quali sono le obiezioni. La stragrande maggioranza dei costituzionalisti ritiene che l’elezione diretta del premier sia un’operazione fallimentare. Lo testimonia la storia: “Ci hanno provato, un po’ di anni fa, in Israele, ma dopo pochi mesi è stata eliminata, in quanto non andava bene”, ha detto ad HuffPost Cesare Pinelli, ordinario di diritto pubblico alla Sapienza. Perché non andava bene? “Perché manteneva la figura del Capo dello Stato, esautorandola di molti poteri. Rendendola, insomma, una figura irriconoscibile”. Su come cambia la figura del presidente della Repubblica torneremo tra poco.
Come ha spiegato ad HuffPost Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato alla Sapienza: “L’elezione diretta del premier produrrebbe un solo effetto: quella di rendere il cittadino un tifoso, secondo un modello trumpiano o bolsonariano. E a noi non servono tifosi ma, al contrario, cittadini consapevoli che il loro voto sarà ascoltato”. Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale, approva la direzione che prende la riforma, ma invita a introdurre il meccanismo della sfiducia costruttiva: per sfiduciare un premier, bisogna trovare contestualmente un governo nuovo che si regga su una maggioranza.
RAPPORTO MAGGIORANZA-PREMIER E “NORMA ANTIRIBALTONE”
Cosa prevede la riforma. L’osservazione di Cassese ci consente di spiegare come si articolerà il rapporto di fiducia tra il premier e la sua maggioranza. Si legge nel testo della riforma: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”. E questo vale a inizio legislatura, dal momento che le elezioni del premier saranno simultanee a quelle del Parlamento e il premier sarà anche un parlamentare. Ma se ci sono problemi durante la legislatura, che accade? “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto – si legge nel testo – il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.
Quali sono le obiezioni
Questa prospettiva è vista con molta freddezza dai costituzionalisti, perché considerato troppo rigido. Secondo ciò che ha detto a vari quotidiani Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, “dobbiamo interrogarci se un’eccessiva rigidità, dove oggi ci sono spazi di flessibilità, sia opportuna”. Non è opportuna secondo Clementi, secondo il quale “il disegno di legge crea tre ostaggi”. Per sintetizzare: il premier è ostaggio della sua maggioranza, la maggioranza ostaggio del premier e il presidente della Repubblica ostaggio perché non può far nulla in caso di crisi. Il disegno, infatti, esclude governi tecnici. Come osserva a La Stampa Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, la norma anti-ribaltone crea un paradosso: “Il secondo premier della legislatura, che non riceve un mandato popolare a governare avrebbe più poteri del premier eletto dai cittadini, disponendo solo lui dell’arma dello scioglimento delle Camere”, ha detto in un’intervista a La Stampa. Per Massimo Luciani, costituzionalista alla Sapienza anche lui intervistato dal quotidiano di via Lugaro, la disposizione secondo la quale è possibile che il secondo premier sia un parlamentare di maggioranza – eletto, sì, quindi, ma non per fare il presidente del Consiglio – “è la dimostrazione del fallimento di qualsiasi norma anti-ribaltone”. Ancora più netto Pinelli, che sostiene: “L’elettore è il primo a essere stato ingannato. Perché nel corso della legislatura gli cambiano le carte in tavola: lui voleva X, lo ha votato, invece arriva e un certo punto Y. Non funziona, è evidente”.
RUOLO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Cosa può fare oggi. Come abbiamo già spiegato, ha un potere vero e concreto di nomina del premier e di scioglimento della Camere. Con la riforma questi due poteri saranno un pro forma, perché dovrà solo essere notaio di scelte obbligate.
Quali sono le obiezioni. Per Clementi: “Abbiamo un Capo dello Stato che, anche in momenti di difficoltà, vedrebbe le sue mani ancora più legate, facendo venire meno il presidente della repubblica come motore di riserva che si attiva in momenti di crisi”. Il professore della Sapienza vede anche un altro rischio: “Il rischio è che con questa mancanza di flessibilità, con questa figura del presidente della Repubblica che non può intervenire neanche in caso di crisi tra il premier e la sua maggioranza, si finisca per andare alle urne anche più volte in un anno”. Per Mirabelli ci sarà “una forte limitazione della libertà del Quirinale che sarebbe sempre più ridotto a un ruolo meramente notarile”. Per Flick: Non ci si rende conto che la creazione di due fonti, una parlamentare per la nomina del capo dello Stato e l’altra elettorale per la legittimazione del premier, è destinata a creare una prima notevole frattura tra i due soggetti istituzionali”. Secondo Luciani al Colle vengono sottratte funzioni essenziali.
LA LEGGE ELETTORALE
Cosa prevede la riforma. Affinché la riforma funzioni (o almeno ci provi) viene prevista la necessità di una legge elettorale con premio di maggioranza. Se ne farà menzione proprio in Costituzione. Al nuovo articolo 92, infatti, si leggerà: “La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura”.
Quali sono le obiezioni. Il più netto sul fronte è Cesare Pinelli, che parla di “dramma”. Poi aggiunge: “Capisco il perché dell’idea, ma non risolve i problemi, ne pone di ulteriori. L’abbiamo sperimentata e non è andata bene: un sistema del genere funziona, aiuta, se una maggioranza c’è. In quel caso le si assicura un premio in seggi. Ma se la maggioranza non c’è,la legge funziona da stampella: si dà un premio in seggi, in modo improprio, a una maggioranza che non rappresenta il Paese. Faccio notare inoltre che su questo è già intervenuta la Corte costituzionale”. Per Luciani “prevedere che la legge fissi addirittura un premio di maggioranza fino al 55% lascia molto perplessi”. Ad essere pregiudicato, argomenta il professore, “è il principio di un’adeguata rappresentatività”.
(da Huffingtonpost)
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