PUTIN E BERLUSCONI: PIÙ CHE AMICI, SOCI IN AFFARI
IL CAVALIERE, INSIEME A SCARONI, È IL PRINCIPALE RESPONSABILE DELL’ESTREMA DIPENDENZA ITALIANA DAL GAS RUSSO, COSTRUITA DURANTE I QUATTRO GOVERNI CHE HA GUIDATO DAL 2001 AL 2011
La liaison con Mosca è stata l’architrave geopolitica dei quattro governi Berlusconi tra 2001 e 2011, cosparsi di numerose visite dell’imprenditore-politico.
Con ambasciatore o senza, con il consigliere Valentino Valentini (che, si mitizzava, «sapeva il russo ») o no. Sempre tra il Cremlino e la dacia, mischiando pubblico e privato da par suo.
Fin dagli anni ’90 l’uomo del Biscione, nel guardare a Est, vedeva, più che i “comunisti”, mercati promettenti, in cui mandò in avanscoperta fidi emissari. Prima Marcello Dell’Utri, dirigente e consigliere della prima ora, e compaesano del potente Pietro Fallico, il reuccio dei banchieri italiani a Mosca.
Poi, già al governo, Bruno Mentasti, amico caro della sua famiglia, già socio in Telepiù (dove gli fece il prestanome) che aveva ceduto l’acqua San Pellegrino e cercava nuove imprese.
Quando il 30 ottobre 2003 Vittorio Mincato – ad dell’Eni che non lasciava ai gruppi rivali neanche una goccia della merce russa – dopo una cena d’affari milanese ebbe dall’allora vicepresidente di Gazprom Komarov un biglietto con su scritto “Mentasti”, trasecolò.
Il già socio di Berlusconi doveva intercettare 3 miliardi di metri cubi di gas di spettanza Eni e venderli in Italia. Era già costituita anche la holding Centrex, a Vienna con insieme a Mentasti vari soci schermati in società cipriote.
L’affare fu stoppato. Non subito. Il nuovo ad Eni Paolo Scaroni , scelto nel 2005 dal Berlusconi III, s’ era prestato a firmare l’intesa nonostante diverse critiche nell’ambiente e sulla stampa.
Ma dopo i rilievi del cda Eni, e dell’antitrust, la fornitura fu riformulata (fine 2006), togliendo la senseria di Mentasti.
Scaroni è stato il manager che più ha piegato l’ex monopolista italiano alla politica filorussa di quegli anni. Ci sono varie testimonianze, anche se la più smaccata è forse quella che non si vede: il gasdotto South Stream.
Un tubo da far passare sotto il Mar Nero, al costo di 15,5 miliardi, il doppio del rivale Nabucco azero, più gradito agli Usa. Ma l’Italia e l’Eni, fin dal 2007, avevano scelto: solo nel 2014, a lavori già iniziati, il progetto è naufragato, più per le pressioni Usa sulla Bulgaria dopo l’annessione russa della Crimea e le prime sanzioni a Mosca. Oggi quel tubo sarebbe una catena al collo in più per l’Italia.
Come emerso dai dispacci Wikileaks, parte della diplomazia Usa, ma anche della stampa italiana e degli operatori di settore, arrivò a pensare che l’assiduità di Berlusconi con Mosca celasse tornaconti personali. Si è vociferato di un piccolo giacimento in Kazakistan, intestato al Cavaliere. Lui ha smentito.
(da “la Repubblica”)
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