RAPPORTO INPS: “PORTE CHIUSE AGLI IMMIGRATI? CI COSTEREBBE 38 MILIARDI”
SENZA I LAVORATORI DALL’ESTERO IN 22 ANNI QUESTO SAREBBE IL SALDO TRA ENTRATE E USCITE…”SERVE UN REDDITO MINIMO DI INCLUSIONE E UN SALARIO MINIMO”..ABUSO DELLE CIG: PER IL 20% DELLE IMPRESE DURA 5 ANNI
Propone di rinominare l’Inps come “Istituto Nazionale della protezione sociale”, dal momento che “solo” 150 delle 440 prestazioni erogate sono di tipo pensionistico.
E con un pizzico di orgoglio dichiara di essersi fatto tanti nemici e che la lista di chi chiede una chiusura anticipata del mandato “si è notevolmente allungata”.
Ma soprattutto nella “Relazione Annuale” presentata stamane a Montecitorio, il presidente dell’Inps Tito Boeri delinea le direttrici lungo le quali contributi, previdenza e assistenza devono muoversi nei prossimi anni, se si vuole evitare il tracollo.
A cominciare da un consistente impiego degli immigrati: chiudere loro le porte ci costerebbe la perdita secca di 38 miliardi per i prossimi 22 anni, una manovra aggiuntiva annuale.
E delle donne, anche: i costi per il loro mancato utilizzo nel mercato del lavoro sono anche più alti. Boeri chiede maggiore equità , insiste per il perfezionamento e la piena applicazione di riforme appena accennate, o rimaste a metà del guado: il ricongiungimento gratuito dei contributi, il reddito minimo d’inclusione, il salario minimo.
Bacchetta chi frena per motivi propri, come i sindacati, che non vogliono più il salario minimo per non perdere il loro cruciale ruolo contrattuale. Ricorda che il mismatch tra lavoratori e competenze utilizzate e la mancanza di formazione hanno dei costi, alla lunga, e l’Italia li sta pagando tutti.
E rivendica una gestione virtuosa dell’Inps: “Nel 2016 è costata 3.660 milioni contro i 4,531 del 2012, all’indomani dell’incorporazione di Inpdap ed Enpals”.
Le prestazioni: meno della metà sono pensioni.
L’Inps eroga 440 prestazioni, ma solo 150, ricorda il presidente Boeri, sono di natura pensionistica. Tra le ultime nate affidate all’Inps il Bonus mamma domani, l’Ape sociale e l’Ape volontaria. E tra qualche giorno l’Inps comincerà a gestire il nuovo contratto di prestazione occasionale, PRESTO. Da settembre inoltre l’Inps gestirà anche le visite fiscali nel pubblico impiego, e dal 2018 il nuovo Reddito di Inclusione.
Le forzature della Cig.
L’uso della Cassa integrazione si è da tempo snaturato. Infatti due terzi delle 350.000 imprese che nella lunga crisi 2008-2016 hanno utilizzato la cassa integrazione nelle sue varie articolazioni, ordinaria, straordinaria e in deroga, hanno avuto accesso allo strumento per più di un anno, e un quinto delle imprese addiritttura per cinque anni o più.
“Difficile pensare – osserva Boeri – che, in questi casi, si tratti di problemi temporanei, indubbio che siamo di fronte a un sussidio prolungato che riduce in modo continuativo il costo del lavoro di alcune imprese. Circa un beneficiario su quattro di cassa integrazione nel 2014 aveva ricevuto il trattamento per più di nove mesi. Tutto questo ci dice che utilizziamo per periodi molto lunghi strumenti concepiti per affrontare crisi temporanee”.
Ammortizzatori: la copertura è aumentata, ma servono più garanzie.
La copertura degli ammortizzatori sociali con le ultime riforme è aumentata, valuta l’Inps: “Noi stimiano che circa il 6% dei beneficiari Naspi nel biennio 2015-2016 non avrebbe avuto del tutto accesso ai sussidi di disoccupazione in assenza della riforma”. Ma la strada per una garanzia vera dei più deboli è ancora lunga, ricorda Boeri: “Manca ancora in Italia uno strumento universalistico per chi non ce la fa comunque a trovare lavoro al termine della durata massima dei sussidi di disoccupazione e, più in generale, per tutti coloro che finiscono in condizioni di indigenza”.
Piccole imprese crescono: le prime ricadute positive del Jobs Act.
Si proponeva di far crescere le imprese al di sopra dello sbarramento dei 15 dipendenti, e in parte il Jobs Act ci è già riuscito: l’Inps valuta che ci sia stata un’impennata nel numero di imprese private che superano la soglia dei 15 addetti, “passate dalle 8.000 al mese di fine 2014” alle “12.000 dopo l’introduzione del contratto a tutele crescenti”.
Il mismatch: un male tutto italiano. L’Ocse assegna all’Italia il “primato nella percentuale di lavoratori sbagliati al posto sbagliato”, osserva Boeri, cioè, in altre parole, nel livello di mismatch tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori. Per superarlo, dice il presidente dell’Inps, bisogna migliorare la transizione tra scuola e lavoro e incentivare gli investimenti in formazione sul posto del lavoro”.
Ma anche la mobilità e il turnover rapido contribuiscono a ridurre il mismatch, che infatti è più limitato tra gli immigrati, che oltre a salvare i nostri conti pensionistici sono estremamente più mobili degli italiani e pertanto migliorano notevolmente le carriere nel corso della vita lavorativa, il salario migliora del 4% per esempio se si lavora in un Comune diverso da quello in cui si è nato.
Gli immigrati: ossigeno per il sistema previdenziale.
Chiudendo le frontiere agli immigrati “rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale”, ammonisce Boeri. I lavoratori che arrivano in Italia sono sempre più giovani, la quota degli under 25 è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015, e pertanto si tratta di 150.000 contribuenti in più l’anno, che bilanciano in parte il calo delle nascite.
Più donne al lavoro.
Però gli immigrati non bastano: bisogna varare e soprattutto applicare le politiche per far rimanere al lavoro le donne, anche quando diventano madri, sottolinea l’Inps. La nascita di un figlio per una madre con contratto a tempo determinato ha come conseguenza un calo del reddito potenziale del 35% per i primi due anni di vita del bambino. E le nuove misure per incentivare il ritorno delle madri al lavoro e il congedo di padre funzionano solo in parte, perchè solo in parte vengono applicate: due terzi dei neopadri non hanno preso il congedo nel 2015.
(da agenzie)
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