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REFERENDUM, 183 COSTITUZIONALISTI DICONO NO

“SENZA UNA CONTESTUALE MODIFICA DEL SISTEMA ELETTORALE SI VERREBBE A CREARE UNO SQUILIBRIO”

“Le ragioni del nostro NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari”, questa l’intestazione del documento firmato da 183 costituzionalisti
“Per molti osservatori la riforma della Carta prevista dal prossimo referendum è pericolosa senza il proporzionale. La Costituzione sarebbe dunque in balia di una legge ordinaria, che per di più ancora non c’è. Si può approvare una riforma del genere?”.
“Non può trascurarsi, – confermano i 183 -, lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale, con essa coerente, tale da assicurare — nei limiti del possibile — la rappresentatività  delle Camere e, allo stesso tempo, agevolare la formazione di una maggioranza (sia pur relativamente) stabile di governo”.
Se da un lato, “la materia costituzionale non può essere svilita fino a diventare argomento di mera propaganda elettorale”, nel merito, “il taglio lineare prodotto dalla revisione incide sulla rappresentatività  delle Camere e crea problemi al funzionamento dell’apparato statale”, si legge nel testo.
Il documento, promosso da Alessandro Morelli, Fiammetta Salmoni, Michele Della Morte, Marina Calamo Specchia e Vincenzo Casamassima, dettaglia in cinque punti le ragioni tecniche per le quali è necessario opporsi alla riforma, “illustrando i rischi per i principi fondamentali della Costituzione che la revisione comporta”. Revisione che “sembra essere espressione di un intento ‘punitivo’ nei confronti dei parlamentari — visti come esponenti di una ‘casta’ parassitaria da combattere con ogni mezzo” — ed “è il segno di una diffusa confusione del problema della la qualità  dei rappresentanti con il ruolo stesso dell’istituzione rappresentativa”.
Tra le adesioni, negli atenei da Nord a Sud, si segnalano il presidente emerito della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro, e i professori emeriti Giuseppe Ugo Rescigno, Gianni Ferrara, Paolo Caretti, Pasquale Costanzo, Antonio D’Atena, Alfonso Di Giovine, Silvio Gambino, Aldo Loiodice, Antonio Ruggeri, Michele Scudiero, Luigi Ventura, Massimo Villone.
Ecco l’appello integrale e i 183 firmatari:
Le ragioni del nostro NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari In risposta all’appello del Direttore della testata online Huffington Post Mattia Feltri, pubblicato lo scorso 8 agosto, le sottoscritte e i sottoscritti, docenti, studiose e studiosi di diritto costituzionale, intendono spiegare le ragioni tecniche per le quali si oppongono alla riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari, illustrando i rischi per i principi fondamentali della Costituzione che la revisione comporta. §
Si precisa che il presente documento scaturisce da un’iniziativa autonoma e totalmente indipendente sia dal Coordinamento per la democrazia costituzionale (CDC), sia dal Comitato nazionale per il No al taglio del Parlamento, così come da ogni altro ente, organismo e associazione, esprimendo considerazioni frutto esclusivamente dell’elaborazione collettiva dei sottoscrittori.
Il testo di legge costituzionale sottoposto alla consultazione referendaria, introducendo una riduzione drastica del numero dei parlamentari (da 945 componenti elettivi delle due Camere si passerebbe a 600), avrebbe un impatto notevole sulla forma di Stato e sulla forma di governo del nostro ordinamento. Tanti motivi inducono a un giudizio negativo sulla riforma: qui si illustrano i principali.
1) La riforma svilisce, innanzitutto, il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività , senza offrire vantaggi apprezzabili nè sul piano dell’efficienza delle istituzioni democratiche nè su quello del risparmio della spesa pubblica.
I fautori della riforma adducono, a sostegno del «SàŒ» al referendum, la riduzione di spesa che la modifica della composizione delle Camere determinerebbe. Si tratta, però, di un argomento inaccettabile non soltanto per l’entità  irrisoria dei tagli di cui si parla, ma anche perchè gli strumenti democratici basilari (come appunto l’istituzione parlamentare) non possono essere sacrificati o depotenziati in base a mere esigenze di risparmio.
La riduzione del numero dei parlamentari non deriverebbe, inoltre, da una riforma ragionata del bicameralismo perfetto (il vigente assetto parlamentare in base al quale le due Camere si trovano nella stessa posizione e svolgono le medesime funzioni). Tale sistema non sarebbe toccato dalla legge costituzionale oggetto del referendum.
Spesso si fa riferimento agli esempi di altri Stati ma non può correttamente compararsi il numero dei componenti delle Camere italiane con quello di altre assemblee parlamentari in termini astratti, senza tenere conto del numero degli elettori (e, dunque, del rapporto eletti/elettori). Si trascura, inoltre, che in molti degli ordinamenti assunti come termini di paragone si riscontrano forme di governo e tipi di Stato diversi dai nostri.
2) La riforma presuppone che la rappresentanza nazionale possa essere assorbita nella rappresentanza di altri organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli regionali, Consigli comunali, ecc.), contro ogni evidenza storica e contro la giurisprudenza della Corte costituzionale.
I fautori della riforma sostengono ancora che la riduzione del numero dei parlamentari non arrecherebbe alcun danno alle esigenze della rappresentatività  perchè sarebbero già  tanti gli organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli regionali, consigli comunali, ecc.) la cui formazione dipenderebbe dal voto dei cittadini. La rappresentanza nazionale, secondo questa tesi, potrebbe trovare un’espressione parcellizzata in altri luoghi istituzionali. A prescindere, però, da ogni altra considerazione sul ruolo e sulle competenze degli organi elettivi richiamati (ad esempio, i Consigli regionali italiani non sono paragonabili ai parlamenti degli Stati membri di una federazione), si può ricordare che la Corte costituzionale ha chiarito che «solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale, la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile».
Basta leggere, del resto, le materie attribuite dalla Costituzione alla competenza esclusiva del legislatore statale (e considerare l’interpretazione estensiva che di molte di queste materie ha dato la stessa Corte costituzionale nella sua giurisprudenza) per avere un’idea dell’importanza delle Camere.
3) La riforma riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori. Per quanto riguarda la nuova composizione del Senato, alcune Regioni finirebbero con l’essere sottorappresentate rispetto ad altre. Così, ad esempio, l’Abruzzo, con un milione e trecentomila abitanti, avrebbe diritto a quattro senatori, mentre il Trentino-Alto Adige, con le sue due province autonome e con una popolazione complessiva di un milione di abitanti, avrebbe in tutto sei senatori; e ancora la Liguria, con cinque seggi, avrebbe una rappresentanza al Senato, in sostanza, della sola area genovese.
4) La riforma non eliminerebbe ma, al contrario, aggraverebbe i problemi del bicameralismo perfetto (anche se è spesso presentata dai suoi sostenitori come un intervento volto a raggiungere gli stessi obiettivi di precedenti progetti di riforma, diretti a rendere più efficiente l’istituzione parlamentare).
Come si è già  detto, l’attuale riforma non introduce alcuna differenziazione tra le due Camere ma si limita semplicemente a ridurne i componenti, il cui elevato numero costituisce una caratteristica del Parlamento e non del bicameralismo perfetto. Tale assetto, in teoria, potrebbe anche essere modificato senza alterare in modo così incisivo il numero dei parlamentari, anche solo per il tramite di una contestuale riforma dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato. Al contrario, se si considerano i problemi di rappresentanza di alcuni territori regionali che la riforma comporterebbe, risulta che paradossalmente la legge in questione finirebbe con l’aggravare, anzichè ridurre, i problemi del bicameralismo perfetto.
5) La riforma appare ispirata da una logica “punitiva” nei confronti dei parlamentari, confondendo la qualità  dei rappresentanti con il ruolo stesso dell’istituzione rappresentativa. La revisione costituzionale sembra essere espressione di un intento “punitivo” nei confronti dei parlamentari — visti come esponenti di una “casta” parassitaria da combattere con ogni mezzo — ed è il segno di una diffusa confusione del problema della qualità  dei rappresentanti con il ruolo dell’organo parlamentare. Non è dato riscontrare, tuttavia, un rapporto inversamente proporzionale tra il numero dei parlamentari e il livello qualitativo degli stessi. Una simile riduzione dei componenti delle Camere penalizzerebbe soltanto la rappresentanza delle minoranze e il pluralismo politico e potrebbe paradossalmente produrre un potenziamento della capacità  di controllo dei parlamentari da parte dei leader dei partiti di riferimento, facilitato dal numero ridotto degli stessi componenti delle Camere.
Non può trascurarsi, inoltre, lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale, con essa coerente, tale da assicurare — nei limiti del possibile — la rappresentatività  delle Camere e, allo stesso tempo, agevolare la formazione di una maggioranza (sia pur relativamente) stabile di governo.
È illusorio, in conclusione, pensare alle riforme costituzionali come ad azioni dirette a causare shock a un sistema politico-partitico incapace di autoriformarsi, nella speranza che l’evento traumatico possa innescare reazioni benefiche. Una cattiva riforma non è meglio di nessuna riforma. Semmai è vero il contrario. Respingendo questa riforma perchè monca e destabilizzante, ci sarebbe spazio per proposte equilibrate che mantengano intatti i principi fondanti del nostro ordinamento costituzionale; al contrario sarebbe più difficile mettere in discussione una riforma appena avallata dal corpo elettorale. Occorrono, in definitiva, interventi idonei ad apportare miglioramenti al sistema nel rispetto della democraticità  e della rappresentatività  delle istituzioni.
Per queste ragioni i sottoscritti voteranno convintamente «NO»!

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on lunedì, Agosto 24th, 2020 at 14:35 and is filed under denuncia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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