RENZI, DENTRO I FISCHI, FUORI LE MANGANELLATE: DUEMILA A SENTIRLO A BOLOGNA, MILLE A FISCHIARLO
IL PREMIER CONTESTATO ALLA FESTA DELL’UNITA’… I BLACK BLOC LIBERI DI SFASCIARE, L’INSEGNANTE SI PUO’ MANGANELLARE
“Bello, bello, son le cose che ci piacciono”. Dopo l’incontro con i volontari della Festa dell’Unità di Bologna, Matteo Renzi la mette così.
Durante il comizio l’hanno contestato, come non era mai successo. Ma lui non si scompone: “Erano partiti che non volevano farmi parlare. Sono andato avanti e alla fine si sono azzittiti. E le cose gliele ho dette. I 3 miliardi sulla scuola, le assunzioni. A urlare sono quelli rimasti fuori”, commenta, riferendosi ai precari delle scuola che lo hanno fischiato.
Intorno c’è chi gli urla “Vattene” e chi lo incoraggia “Non mollare”. Ma lui insiste con il bicchiere mezzo pieno: “C’è un bel clima, bella gente. Son contento”.
Atmosfera tesa, ieri a Bologna.
All’entrata della Festa (quella delle esclusioni illustri, Bersani in testa, e le contestazioni ai ministri Giannini e Poletti), le forze dell’ordine sono in tenuta anti-sommossa. Gli attivisti dei centri sociali bolognesi, tra cui i collettivi Tpo e Hobo, insieme ad alcuni studenti universitari hanno organizzato un corteo, partito dalla stazione.
E una quarantina di precari dell’istruzione manifestano con cucchiai e pentole. Dentro, il clima è moscio, le presenze scarse: duemila persone. Non ci sono pulmann di partito.
Della minoranza, c’è solo Gianni Cuperlo. “Domani decideremo insieme agli altri se non partecipare alla votazione sull’Italicum o esprimere voto contrario”, spiega.
Sul piede di guerra, ma neanche troppo. Accanto a lui, un gruppetto di anziani militanti grida contro i contestatori: “Vergogna, vergogna. Siete terroristi! In 30-40 persone non possono bloccare un Paese. Votassero punto e basta. E se ne andassero”, urla Fiorenzo di Forlì, un passato comunista.
Dal palco Renzi accoglie Cuperlo: “Questa è casa tua”. E annunciando la riapertura dell’Unità entro la “festa di Milano” (prevista a fine agosto) va oltre: “Stiamo vedendo con Cuperlo alcune idee bislacche per l’Unità ”.
I rumors già vogliono il deputato direttore. Alla fine magari non andrà così. Ma coinvolgerlo nel progetto è in pieno stile Renzi: includere per disinnescare.
Il futuro è un’ipotesi. Il presente racconta una giornata difficile, tesa, arrabbiata.
Sono circa le 15 e 30 e manca mezz’ora all’arrivo di Renzi, quando le contestazioni iniziano in piena regola.
I carabinieri chiudono l’entrata principale del Parco della Montagnola, i manifestanti (un centinaio), provano a forzare il blocco. Lanci di uova. Muro umano contro muro umano, poi se ne vanno.
Non senza lasciare il cartello. “Precari e disoccupati. Figli di papà Renzi”.
“È una giornata spenta, come è spento l’animo degli italiani”, dentro Gianni, napoletano, che ha un banco alla festa e si definisce “emigrante”, descrive così l’atmosfera.
“Ma sono venuto a dire a Renzi che deve schiacciare la testa degli elefanti del partito”. Dieci minuti e il premier arriva. Gianni gli urla la sua posizione. Lui la coglie: “Io non schiaccio la testa a nessuno, ma non mollo”.
Tra un selfie e un altro, qualcuno gli chiede com’è andata la pace con Prodi. Lui non dice nulla, annuisce. Ieri mattina a Marghera, aprendo la manifestazione Aquae, collaterale all’Expo ha ringraziato il Professore per il ruolo svolto per far ottenere all’Italia l’esposizione universale.
Quando arriva a Bologna, fuori scoppia il caos: il corteo prova a sfondare il cordone di protezione, la polizia carica. Si fa male qualcuno, una donna di 60 anni (estranea ai collettivi) finisce in ospedale con un braccio fratturato.
Mentre le foto di una ragazza manganellata, con il viso coperto di sangue, fanno il giro della Rete. Verrà dimessa poche ore dopo, così come l’altro ferito, un ragazzo di 21 anni.
Dentro, appena Renzi inizia a parlare, scattano i fischi.
C’è un piccolo gruppo di precari della scuola, nelle prime file. Ma i fischi si diffondono per tutta la platea: a un certo punto, una metà applaude entusiasta, una metà fischia.
Renzi alza la voce, ingaggia un vero corpo a corpo con chi lo contesta. “Non mi faccio spaventare da tre fischi. Non molleremo. Abbiamo il compito di cambiare l’Italia e la cambieremo”, declama.
Loro fischiano, lui urla. “Non è con un fischietto in bocca che migliorerete il futuro dei vostri figli”. Li sfida: “La mia maestra, Elda, è stata una staffetta partigiana e mi ha insegnato che la prima libertà è quella di poter esprimere le proprie idee. Sono figlio di insegnanti, mia moglie è un’insegnante, i miei nonni erano insegnanti, i miei suoceri erano insegnanti”.
A un certo punto sembra che la rabbia prenda il sopravvento.
Tanti fischi, tutti insieme, durante un comizio, Renzi non li aveva mai presi: “Se il ddl la buona scuola passa 100mila insegnanti entreranno, se non passa continuerete a fischiare. Questa è la differenza”.
E ancora: “La legge si può cambiare, discutiamone”.
La contestazione lentamente si spegne. Lui chiude il comizio, spingendo sull’Italia che ci crede. Sventola persino una bandiera del Pd.
Poi incontra un gruppetto di precari. Discussione punto su punto.
Ma quando esce, ancora gli urlano contro.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply