RENZI TORNA A ROMA: DUE DATE SEGNATE PER IL VOTO, 23 APRILE O 11 GIUGNO, MA SI ATTENDE LA CONSULTA
SI ARENA LA NUOVA SEGRETERIA PD
Nel giorno in cui il nuovo premier Paolo Gentiloni vola a Parigi per la sua prima visita di Stato all’estero, Matteo Renzi torna a Roma per fare il segretario del Pd. Giornata al Nazareno per l’ex presidente del Consiglio, proprio nel giorno dell’arresto dei due fratelli che lo avrebbero ‘cyberspiato’ in questi anni di governo, quando tra le altre cose tentava di portare a Palazzo Chigi il suo esperto di cybersecurity Marco Carrai.
Non ci è riuscito, come non è riuscito in altre questioni, a partire dal referendum costituzionale.
E anche oggi Renzi lascia Roma senza riuscire a battezzare la nuova segreteria, pur annunciata da tempo. Torna a Pontassieve solo con due date in testa, confidate ai suoi interlocutori: il 23 aprile o l’11 giugno.
Sono le date in cui immagina nuove elezioni. Il percorso per arrivarci è però accidentato, composto da due scenari alternativi che dipendono dalla sentenza della Consulta sull’Italicum, prevista il 24 gennaio.
Nella sua stanza alla sede del Pd Renzi si è intrattenuto quasi tutta la gioranta con il vicepresidente del partito Matteo Orfini, ha ricevuto il vicesegretario Lorenzo Guerini e Tommaso Nannicini che nella nuova segreteria si occuperà del programma del Pd per le prossime elezioni.
E ha ricevuto anche Andrea Marcucci, luogotenente renziano al Senato. Con lui in particolare Renzi ha voluto ragionare di numeri ed equilibri in aula a Palazzo Madama. Fattore importantissimo, in vista della sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum.
Da qui al 24 gennaio il segretario del Pd non promuoverà alcuna iniziativa sulla legge elettorale, a parte spingere sul Mattarellum ma nella consapevolezza che questo sistema non ha i numeri in Parlamento.
L’assunto di base è che la sentenza della Corte Costituzionale non sarà auto-applicativa, ma necessiterà di un intervento legislativo, come ha messo in chiaro il capo dello Stato Sergio Mattarella nel discorso di fine anno. Dunque, con i suoi interlocutori Renzi traccia due tipi di scenari.
Il primo: se la Consulta smonta totalmente l’Italicum, abolendo sia il premio di maggioranza che il ballottaggio.
Se così fosse, ne risulterebbe un sistema proporzionale non molto dissimile dal Consultellum che ora, a bocce ferme, vale per il Senato.
Questo scenario presuppone un ruolo minimo del Parlamento e con interlocutori che Renzi ritiene affidabili: Forza Italia ed Ncd, entrambi interessati ad un ritorno al proporzionale.
Insomma questa sarebbe la via più agevole per superare la ‘melina’ parlamentare che minaccia da sempre ogni discussione sulla legge elettorale e per decretare la fine del governo Gentiloni e andare al voto con una legge omogenea per entrambe le Camere, unica condizione posta da Sergio Mattarella per lo scioglimento anticipato.
Il secondo scenario invece è quello che Renzi auspica politicamente, perchè gli eviterebbe una campagna elettorale con l’imbarazzante scenario di voler governare con Forza Italia (rischio contenuto nel primo scenario proporzionale).
Ma è uno scenario più complicato da definire in Parlamento. Vale a dire: l’eventualità che la Consulta non bocci totalmente l’Italicum, elimini il ballottaggio mantenendo però il premio di maggioranza per chi raggiunge il 40 per cento dei consensi.
Ne deriverebbe un’ipotesi maggioritaria e il Parlamento avrebbe il compito di armonizzarla con la legge per l’elezione del Senato.
Sostanzialmente si tratterebbe di estendere a Palazzo Madama quello che rimarrebbe in piedi dell’Italicum. E’ la proposta del M5s, ma naturalmente Renzi non li ritiene affidabili come interlocutori.
E’ la proposta che non piace a Forza Italia e nemmeno a Ncd. Dunque a Renzi verrebbero a mancare gli interlocutori in Parlamento. E magari nei partiti questo scenario potrebbe far scattare l’ansia di far durare la legislatura fino al 2018.
Ad ogni modo, l’ordine di scuderia è di aspettare il 24 gennaio per avere un canovaccio su cui trattare.
Senza la sentenza della Corte Costituzionale, nessuno sa con chi conviene aprire le danze. Alla Camera, per dire, la cosa è chiarissima in Commissione Affari Costituzionali, dove i componenti sono stati informati che prima della sentenza dell’Alta corte non si metterà mano a nulla.
Saranno due settimane di attesa. E anche sul fronte del partito il percorso non sembra liscio.
Nemmeno il ritorno a Roma dopo la pausa natalizia, ha sciolto i nodi sulla nuova segreteria che Renzi annuncia nei retroscena dei media da prima di Natale.
Potrebbe battezzarla la prossima settimana, ma non è affatto detto. Anzi: questa giornata di incontri al Nazareno avrebbe mandato in stand-by il piano della nuova segreteria, che — per essere precisi — era stata annunciata già prima dell’estate, dopo l’ennesima tornata di amministrative in negativo per il Pd.
Ora, l’idea di creare una squadra con volti nuovi (i sindaci Falcomatà , Bonjuto, lo scrittore Carofiglio…) ha scatenato le correnti Dem.
Areadem del ministro Dario Franceschini, per dire, non si considera soddisfatta dalla sola inclusione dell’ex sindaco di Torino Piero Fassino come responsabile Esteri. Più in generale, l’idea di Renzi di cambiare squadra, eliminare i parlamentari dalla segreteria per far posto a ministri come Maurizio Martina, ha liberato gli appetiti delle correnti del partito, tornate in massimo fermento dopo il 4 dicembre e preoccupate di restare rappresentate nella squadra che al Nazareno dovrebbe contare di più e produrre anche i prossimi candidati alle politiche.
Praticamente il ragionamento che va facendosi strada nelle aree di maggioranza non renziane ortodosse è: perchè usare la segreteria come capro espiatorio della sconfitta, se la segreteria non è mai stata usata, è stata riunita pochissime volte?
Già , perchè? Renzi lascia Roma con due ipotesi sul tavolo, anche per la nuova segreteria. Più politica, per dare ascolto alle correnti. O più esecutiva, con volti nuovi e componenti con competenze specifiche.
Nemmeno la gita romana chiarisce i dubbi. Domani compleanno in famiglia a Pontassieve, nuova pausa. Il lavoro post-sconfitta procede al ralenti, che per Renzi è una novità . “Ormai siamo zen”, scherza uno dei suoi.
E a sera sulla homepage del sito internet del partito, non c’è il segretario, bensì il premier Gentiloni, a tutto campo con Francois Hollande nel loro primo bilaterale.
A conferma del fatto che premier e segretario sono una cosa sola, hanno anche lo stesso portavoce, Filippo Sensi, e oggi la regìa ha puntato su Parigi piuttosto che Roma.
Renzi per ora non cerca la scena: si nasconde ancora nel retroscena alla ricerca di una via possibilmente chiara.
(da “Huffingtonpost”)
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