SALVINI PROCESSATO A TORINO PER VILIPENDIO ALLA MAGISTRATURA
FRASI OFFENSIVE CONTRO L’ORDINE GIUDIZIARIO, MA RISCHIA SOLO UNA MULTA
Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sarà processato a Torino prima dell’estate.
Il vicepremier è accusato di vilipendio all’ordine giudiziario per aver pronunciato, nel febbraio 2016 durante un comizio a Collegno, frasi offensive contro la magistratura italiana.
Il pm titolare dell’inchiesta, Emilio Gatti, ha ottenuto dal tribunale una data per l’udienza preliminare, che si terrà appunto prima dell’estate.
L’iniziativa dei pm è solitamente il preludio di una citazione diretta a giudizio (per questo reato non è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare).
Il pubblico ministero, come da prassi, dovrà ora firmare il decreto per la citazione diretta in giudizio di Salvini.
La procura di Torino guidata dal Pg Francesco Saluzzo ha rigettato la richiesta dei legali del vicepremier Matteo Salvini di avocare il fascicolo che vede il leader della Lega indagato per vilipendio dell’organo giudiziario (art. 290 del codice penale).
Si parla delle frasi pronunciate dal segretario della Lega Nord nel febbraio 2016: «Qualcuno usa gli stronzi che mal amministrano la giustizia. Se so che qualcuno, nella Lega, sbaglia sono il primo a prenderlo a calci nel c… e a sbatterlo fuori — aveva detto Salvini -. Ma Edoardo Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza che è la magistratura italiana che è un cancro da estirpare. Si preoccupi piuttosto della mafia e della camorra, che sono arrivate fino al Nord”.
Salvini si riferiva all’indagine sulla Rimborsopoli ligure che vedeva l’allora l’assessore del Carroccio, che oggi è sottosegretario ai Trasporti, tra i rinviati a giudizio.
Il reato è previsto dall’articolo 290 del codice penale. Il reato è punito con una multa che varia tra i mille e i 5mila euro.
Il PM Emilio Gatti ha notificato qualche mese fa a Salvini l’avviso di conclusione indagini, che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
Spiega oggi La Stampa che per la citazione diretta in giudizio c’era bisogno dell’autorizzazione rilasciata dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede comunicata agli uffici giudiziari di Torino il 9 ottobre 2018 in ossequio all’articolo 313 del codice penale, senza la quale le accuse sarebbero andate incontro a un’inevitabile — nel senso di obbligatoria — archiviazione.
(da agenzie)
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