SCANDALO LEGA: I DURI E PURI CON LE COSCHE, ECCO L’ASSE REGGIO CALABRIA-MILANO
IL CLAN DE STEFANO, GRAZIE ALLA MEDIAZIONE DELLE FAMIGLIE DELLA LOCRIDE, HA PORTATO I SUOI AFFARI AL NORD… FINO A INCONTRARE INVESTITORI IN CAMICIA VERDE
Da una parte gli uomini della Lega e i loro intrallazzi nella gestione dei rimborsi elettorali.
Dall’altra le società ed i business milionari dei clan De Stefano.
In mezzo, a fare da anello di congiunzione tra i due mondi, una serie di ambigui “procacciatori d’affari” capaci di muoversi in paludi d’ogni genere. Sono proprio le nebbie di questa sorta di terra di mezzo ad avere attirato l’attenzione delle indagini calabresi sul ruolo che Francesco Belsito potrebbe avere avuto in un pasticcio che coinvolge ‘ndranghetisti, broker e politici del Carroccio.
Per il pm della Dda reggina, Giuseppe Lombardo, è plausibile che il punto di contatto tra ‘ndrine e Lega sia rappresentato proprio dai faccendieri che gestivano affari sia per conto della criminalità organizzata calabrese che per i duri e puri di Umberto Bossi.
Stessi fini, identiche tecniche. Con l’obiettivo di ripulire e rigenerare soldi provenienti da affari loschi.
Mazzette e rimborsi elettorali da una parte capitali frutto di estorsioni e grandi traffici dall’altra.
A fare da collante personaggi come Romolo Girardelli e l’avvocato (che poi avvocato non è) Bruno Mafrici.
Per i magistrati Girardelli, un procacciatore di business in odore di ‘ndrangheta. “L’ammiraglio”, come lo chiamavano nell’ambiente, nel 2002 era stato indagato per associazione di stampo mafioso.
Gli investigatori lo ritengono vicino ai vertici del clan De Stefano, famiglia potentissima della città dello Stretto con interessi in Liguria e Francia.
Una figura simile a quella di Mafrici, consulente a tutto campo, con una laurea in giurisprudenza e una tessera da consulente del Consiglio dei Ministri ai tempi in cui Belsito era sottosegretario del Ministero della semplificazione normativa.
Entrambi sono legati poi a un personaggio chiave che compare in diverse inchieste dell’antimafia.
Si tratta di Paolo Martino cugino di Peppe De Stefano, boss indiscusso del clan più moderno e potente delle cosche della ‘ndrangheta.
Martino ha già pagato un omicidio commesso da minorenne a Reggio Calabria negli anni in cui imperversava la guerra dI mafia.
Uscito dal carcere, secondo alcune inchieste si sarebbe trasferito a Milano, dove si sarebbe occupato per conto della “famiglia” di molti affari.
Accuse che Martino ha respinto durante un recente interrogatorio davanti al Gip di Milano Giuseppe Gennari che lo ha fatto arrestare a seguito dell’inchiesta “Redux – Caposaldo”.
Quello che Martino non può negare sono i legami con i De Stefano. Una dinastia di ‘ndrangheta considerata l’èlite dell’organizzazione.
L’uccisione del vecchio patriarca, don Paolino De Stefano, il 13 ottobre del 1985, portò ad una guerra di mafia che fino al 1991 portò a contare tra i 700 e gli 800 morti a Reggio Calabria e provincia.
Una mattanza che si chiuse soltanto dopo un difficilissima mediazione da parte dei boss di vertice dei mandamenti della Tirrenica e della Locride.
Da allora la ‘ndrangheta reggina è cresciuta e prosperata, anche grazie al ruolo dei De Stefano.
Una famiglia, dicono i pentiti, “che gestiva i rapporti con la politica, la massoneria e l’economia”.
A loro era demandato “il contatto con ambienti istituzionali”, insomma “con la gente che conta”.
Così la cosca è cresciuta a dismisura, fino a sedere ai tavoli della “Reggio bene” e, molto probabilmente, anche della “Milano da bere”.
In questa ottica, sempre secondo le inchieste del Pm Giuseppe Lombardo, la chiave d’accesso ad alcuni ambienti è rappresentata da uomini come Martino e Girardelli, mentre avvocati come Mafrici – questo il sospetto – sarebbero arrivati in Lombardia per tenere d’occhio gli affari di società e aziende riconducibili, più o meno direttamente, alle famiglie calabresi.
Giuseppe Baldessarro
(da “La Repubblica”)
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